giovedì 8 dicembre 2011

TFR con il TFF



È tornato!
Qualcuno ha capito il senso di questa (pessima) illustrazione
di Marco Cazzato? (E dire che di solito a me piace eh)
Amici, è tornato il titolo più bello mai concepito a proposito di un festival cinematografico. Che bello. Sono contento.

Ma perdonatemi, quest'anno il Trattamento di Fine Rapporto con il Torino Film Festival arriva un po' in ritardo. E vabbè... Tanto vi dico che per una lu(uuuu)nga serie di problemi non l'ho mica potuto seguire bene come l'anno scorso. Anzi, tutt'altro. Perciò non vi potrete beccare quel sublime lavoro, lo ricordate vero? ma una cosa più raffazzonata. Che poi si sa, che a Natale conta il pensiero, no?
E allora beccatevi i primi due signori pensieri: QUI e QUI.

In confidenza, sul film di Cornish posso dirvi che si tratta davvero di una figata.
A proposito di Joann Sfar (Dessins) invece, devo purtroppo aggiungere che data la sua breve durata era in coppia con un altro documentario: Think About Wood, Think ABout Metal. Una roba che parla di: Robyn Schulkowsky è una percussionista che attraverso la ricerca del suono sulla materia ha provato a trasformare in musica tutto ciò che è visibile, cercando un legame tra musica e immagini. In un alternarsi di esibizioni e discussioni con lo scrittore e docente universitario inglese TJ Demos, si entra in un mondo in cui i concetti di ritmo e strutturazione non lineare del tempo svolgono un ruolo determinante.
Ora, a voi magari leggere questa roba eccita un sacco, e avete pure visto il film e lo trovate geniale, ma per me è stata una sorta di tortura. Non rammento di aver mai visto qualcosa di più brutto. La tronfia Manon de Boer pensa bene di riprendere il nulla per tutto il tempo, facendo lentissime panoramiche su un panorama spoglio, tenendo 10 minuti la camera fissa su un quadratino metallico che ogni tanto viene percosso, girando in un appartamento vuoto per interminabili lassi di tempo. Sperimentale. Avanguardia. Figo, potrete dire voi. Noia, dico io. E vi assicuro che per far dire noia a me ce ne passa.
In realtà il documentario si situa sullo stesso livello del lavoro della percussionista, facendo leva sulla percezione, sui sensi, mettendoci alla prova. E teoricamente la cosa funziona e possiamo parlarne allegramente per ore. Concretamente no, è terribile. Una cosa inguardabile. E ne è riprova il fatto che la gente è uscita in massa, come se neanche Giuliano Ferrara avesse scorreggiato in sala. Una metafora calzante, se mi spiego.

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