"La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città Polonia|polacca di Oświęcim maggiormente nota con il suo nome tedesco di Auschwitz, scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista."
Ho sempre trovato "giorno della memoria" un bel nome per questa ricorrenza. Non compaiono le parole Guerra, Nazismo, Shoah, Morte... sappiamo tutti di cosa si parla, ma la giornata non è dedicata a questo, bensì alla memoria. Riflettendoci spicca una differenza, ovvero che non è importante quello che ha fatto un tizio con dei baffetti sottili, ciò che importa è ricordare che sia avvenuto. Sappiamo che in determinati luoghi, in un determinato lasso di tempo, a delle persone è stata fatta una determinata cosa, ricordiamocelo. Mi sta bene, ma così il significato ne esce un po' sacrificato. La memoria, in quanto tale, è un processo mentale che si estende molto oltre quello che è accaduto durante il Terzo Reich. Ognuno di noi, oltre a quello che ha letto sui libri di Storia, ha una sua personale traccia di ricordi legati a questo. Abbiamo i romanzi, le fotografie, in alcuni casi anche i fumetti (vedi Maus), abbiamo i film, quello di Benigni, quelli di Spielberg, di Polanski, gli ultimi usciti, i prossimi (è un argomento sempre molto fertile). Generalmente il primo che si vede nella vita si infila sottopelle e diventa il nostro ricordo. Io poi, nel mio caso, ho anche avuto mio nonno, fregato dall'armistizio e rinchiuso a Mauthausen. Ho i suoi ricordi, che filtrati attraverso i suoi racconti, sono diventati i miei.
Ma che ne è dei morti nei Gulag? Delle vittime delle altre guerre? Dei deportati a Guantanamo o negli altri "campi di concentramento" ancora fiorenti sparsi per il mondo, con una particolare rigogliosità in Medio Oriente? Che ne è di mia zia? In fondo è morta anche lei. Ci vorrebbero delle giornate della memoria anche per costoro. E perché non una per i morti di mafia? Per tutti quelli rimasti sotto le macerie dei terremoti, o affogati nell'acqua delle alluvioni? E per tutti i bambini che muoiono di fame e malattia? Forse se esistesse una giornata dedicata anche a questi ultimi, ne morirebbero molti di meno.
Ma il fatto qui non è che sia sbagliato ricordare una cosa invece di un'altra, la questione è proprio il ricordo, che è una delle cose più importanti e complesse di ciò che fa parte dell'universo umano. Siano dolori o gioie, buoni o cattivi, falsati dal tempo o da esso cancellati. Stacchiamoci per un momento dal concreto, dalla Seconda Guerra Mondiale; ha senso celebrare il ricordo?
Alcuni sostengono che se teniamo ben presente questi errori del passato, questo orrore, non succederà più. Altri che sia doveroso farlo, per rispetto. Per quelli troppo coinvolti poi è semplicemente impossibile dimenticare. Ma sebbene l'intento sia nobile, non sono sicuro che con il passare del tempo ciò non risulterà inevitabile. Fra cinquanta o cento anni, quando la guerra sarà diventata un argomento troppo noioso e ritrito anche per fiction, film, libri e videogiochi, il 27 gennaio sarà ancora il giorno della memoria? Le nuove generazioni mi paiono poco attente alla storia, ai dettagli, all'importanza delle cose. La verità è che per ricordare bisogna impegnarsi.
I ricordi dolorosi sulla guerra stanno svanendo insieme a quelli che l'hanno combattuta. Una volta morti tutti i veterani, i giovani saranno liberi di dimenticare Hitler e la sua banda, per fare spazio nel cervello all'ultima puntata di Glee. E insieme con quelli svaniranno anche i più intimi e personali. Se il fidanzato ti lascia o la persona che conosci muore, sei destinato inevitabilmente a dimenticarlo. Perché la vita va avanti, e tutto funziona così. Arriva il giorno in cui smetti di provare dolore, o gioia, rispetto a quella cosa ormai lontana, tutto diventa vago, la memoria vacilla ed emergono solo più i contorni. E poi puf, perso per sempre nel limbo.
Affinché ciò non avvenga è necessario allenarsi, voler portare nel cuore e nel pensiero per sempre quel piccolo ricordo, proteggerlo dalle intemperie del tempo, ed affidargli sempre e comunque il peso dell'emozione. E non è detto che neanche in quel caso prima o poi non scompaia lo stesso, ma generalmente le nostre vite non sono tanto lunghe.
Però... però... vale davvero la pena di vivere così? Di faticare tanto per quel ricordo? Perché lottare tanto per tenerlo con sé? Non sarebbe più facile semplicemente lasciarlo andare quando arriva il momento? Non dico subito, perché brucia e fa male, ma quando si spegne, quando è pronto per lasciarti.
Non lo so, forse sì, forse vale almeno la pena tentare. Perché arriva un certo punto in cui non hai più niente, se non i tuoi piccoli e fragili ricordi, e solo allora ti accorgi di quanto hai fatto bene a impegnarti per loro. Solo allora ti rendi conto di quanto fossero importanti.
E allora che la giornata della memoria sia davvero tale, che sia dedicata non soltanto ad un capitolo di Storia, ma a quella tutta intera, sia collettiva che personale. Prendiamoci almeno un giorno all'anno per le cose che ci sono passate attraverso, per quelle che non ritorneranno, per restituire loro un a briciola di quello che ci hanno dato. Per farle vivere ancora un pochino, coltivandole con cura. Finché sarà possibile.
Facciamolo per noi.
Facciamolo per noi.