sabato 8 gennaio 2011

Da recuperare: Piccoli Affari Sporchi

Mentre nei cinema italiani (pochi a dire la verità) è uscito il suo ultimo film, vorrei dedicarmi ad un altra pellicola di Stephen Frears, Piccoli Affari Sporchi, del 2002. Perché credo sia più importante fare una riflessione che una recensione, perché sul sempre meritevole blog di Paolo Vites ho letto questa cosa:
"Ci dimentichiamo a volte di quale sia il motivo per cui amiamo così tanto la musica. A guardare le recensioni sulle riviste musicali, poi, viene la depressione, con le stelline, i voti da uno a centomilamilioni… Come si fa a dare il voto all'emozione, al sentimento? Oh oggi mi sono innamorato da tre stelline, alla mia ragazza darei un bel quattro. Bah. Ci dimentichiamo soprattutto di ascoltare veramente la musica in cui ci imbattiamo. Anzi, rifiutiamo di imbatterci, casualmente, come succedeva ai bei tempi delle radio, quando giravi il manopolone da un canale all'altro alla ricerca del "suono" poi ti bloccavi come se avessi avuto un infarto: eccola, la canzone che spacca, che spacca il mio cuore. Ogni tanto succede ancora. Bisogna imbattersi nella musica, così come ci si imbatte in un volto per la strada. Lasciarsi fissare da uno sguardo, perché solo nello sguardo di un altro siamo in grado di scorgere noi stessi. Le canzoni sono la stessa cosa, sono lo sguardo di un altro che ti fissa, per tre o quattro minuti. Che sia una canzone, un album intero, un concerto. Succede e mi rendo conto - con sollievo - di non essere il perfetto "music lover" perché altre volte, spesso, mi dimentico di ascoltare come dovrei, e cioè con il cuore. Anzi, il Cuore. E non con la testa e basta."
Sono parole che è facile adattare anche al Cinema, basta sostituirlo a "Musica". A volte chi passa tanto tempo insieme all'arte si dimentica che cosa sia in realtà. Chi lavora con l'arte vi si abitua, come chi lavora in pasticceria smette di essere goloso di dolci. Solo chi li compra ha l'acquolina in bocca per quei bignè, a te che sono costati fatica, e ormai li conosci bene, sono evidenti i loro difetti, è sfuggevole la loro meraviglia. L'arte esercita un potere unico e inarrivabile sulle persone proprio perché le abbaglia e le conquista, proprio perché sembra una strana inspiegabile magia. È lì apposta, per strapparci al grigiore della vita quotidiana, regalandoci momenti, minuti, ore di meraviglia. L'arte eleva l'umanità dal suo stato di mediocrità, insieme a poche altre cose. Sarebbe bello, anzi sarebbe meglio continuare a guardarla per sempre da lontano, di modo che la sua ipnosi funzioni, e così avviene per la maggior parte delle persone. Invece per alcuni è un richiamo talmente forte che non resistono ad avvicinarsi, vogliono esplorarla, sapere come si fa, conoscerla a fondo e conquistarla. Questo percorso può portare a risultati stupendi, come il crearla, diventare pittore, regista, scrittore... oppure può portare ad interpretarla, tradurla, a diventarne un esperto, uno storico, un fine divulgatore. Tutto ciò però conduce inesorabilmente ad avere un altro rapporto con l'arte, più concreto, più analitico. Si può arrivare a smarrire lo sguardo da bambino per diventare un freddo critico che si basa su schemi, convenzioni, etichette da affibbiare. Solo alcuni riescono a mantenere il rapporto di inconsapevole alchimia fra uomo e arte, solo i migliori, e spesso soltanto con le opere più eccelse.

Un'estate di qualche anno fa, una poltrona, una TV ed un telecomando... e la programmazione di Rai 3 che prevedeva un ciclo di film europei mai trasmessi. Fu lì che conobbi, fra le altre cose, La Sposa Turca, che fu un colpo al cervello, e questo film, che lo fu al cuore. Non sapevo nulla della trama, del cast o del regista, ero impreparato all'analisi, e l'arte mi investì in pieno.
La storia di Okwe e Senay nella fredda e inospitale Londra si beve tutta d'un fiato, e poi solo alla fine si respira. Tutti dovrebbero essere fortunati come me, non sapere nulla della vicenda e non aver visto il trailer (io l'ho visto dopo, è fuorviante, lo fa sembrare un action movie anni '80). Vi dico solo il tema: il traffico d'organi (i piccoli affari sporchi) e l'immigrazione. Tutti i personaggi del film sono di nazionalità diverse, anche il cattivo: Africana, Turca, Cinese, Russa, Spagnola... e all'unico inglese purosangue viene rivolta verso la fine una frase che racchiude tutto il senso: “Siamo quelli che non vedete, quelli che guidano i vostri taxi, che puliscono le vostre camere, e ve lo prendono in bocca.” E un'altra frase simbolica all'inizio identifica invece il protagonista, che raccogliendo due clienti nel suo taxi dice: "Non sono qui per voi in particolare, ma per tutti quelli che sono stati abbandonati dal sistema". È una sceneggiatura finissima questa, ad opera di Steven Knight (che fra le altre cose ha scritto una cosa raggelante come La Promessa dell'Assassino di Cronenberg... non si direbbe mai che è l'inventore di Chi vuol essere Milionario?) che ha vinto una quintalata di premi. È una storia serrata e ritmata che ha il tempo di prendersi le sue pause di riflessione, che racconta giornalisticamente una verità cruda e oscena della nostra società, ma senza spingersi fino al neorealismo. C'è una parte romanzata, una componente fiabesca e struggente all'interno di questa fotografia secca.
È un film insomma, che non ha la pretesa di fingersi vita, documentario o testimonianza. Knight all'asciuttezza ha preferito il sentimento, il veicolare un messaggio con passione, ha fatto questa scelta. Ne aveva diritto. E la sua sceneggiatura è da incorniciare, è perfetta, esemplare, un capolavoro. Qualsiasi regista ne avrebbe tratto un buon film, era un paracadute sicuro, ma Frears con la sua regia ha fatto di più, come al solito. Non si sente mai, non è geometrica o fissata per l'equilibrio, è soltanto partecipe e indiscreta, e la cinepresa è sempre al posto giusto. Musica di Nathan Larson e fotografia di Chris Menges ottime, e poi ci sono gli attori. Chiwetel Ejifor, che come tutti gli afroamericani ha gravitato attorno a Spike Lee per sfondare, si dimostra un protagonista sorprendente. Il suo è un personaggio virtuoso, introverso ma fortemente espressivo, si muove senza sosta, senza dormire, ti porta dalla sua parte, ti strappa dalla sedia e ti rende partecipe del suo destino. Audrey Tautou ha la parte più delicata e dura della sua carriera, ogni complimento fatto a quest'attrice non basta. Da Il Codice Da Vinci in poi nessun ruolo è più stato alla sua altezza, con un solo sguardo, con un solo gesto sa esprimere tutto il turbinio di sensazioni di un'anima in pena. Quando poi in bocca gli attori hanno anche i dialoghi giusti, il lavoro può veramente innalzarsi al massimo delle possibilità.
Questo film emoziona, ma lo fa davvero e sinceramente, non con i mezzi scorretti ed i colpi bassi. È sincero e sognatore, e sotto la sua patina grigia batte un cuore da favola, da bene contro il male, da storia d'amore e cavalieri che corrono in aiuto di fanciulle in pericolo. I critici che lamentano la mancata denuncia sociale hanno perso di vista che cosa l'arte sa fare, talmente abituati a calcolare e dare voti non si curano della profondità delle parole e dell'intensità degli sguardi. Non sanno più abbandonarsi romanticamente a qualcosa che parla al cuore. Ogni analisi strutturale è superflua, ed è per questo che un giudizio del genere non verrà mai ascoltato dal pubblico. Troppo spesso chi guarda da fuori dimentica il rispetto per chi l'arte si sforza di farla sul serio, con fatica, passione, e impegno.
Presto parleremo di Tamara Drewe, e un giorno sicuramente anche di Ratatouille, di cui posto qui di seguito un paio di video della parte finale, che dicono molto meglio di me quello che ho cercato di esprimere finora (dopo averli guardati capirete perché). Dicono tutto.
Di Piccoli Affari Sporchi preferisco non dire altro e non farvi vedere nulla. Guardatelo, in santa pace e come si deve, e se vedete dei difetti passate oltre, ai tanti pregi che ha. Lasciate che l'arte faccia il suo effetto.
Questo forse non sarà un capolavoro, forse non merita dieci stelline, ma è uno dei miei film preferiti. E per me, se ci siamo capiti, ha molto più valore.







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