venerdì 25 ottobre 2013

Oh Boy, un caffé a Berlino

Musica Jazz sul nulla, parte come il classico Woody Allen, poi compaiono le prime immagini in bianco e nero: una ragazza su di un letto; si respira subito odore di Nouvelle Vague, poi ci si rende conto che i personaggi parlano in tedesco, e guardando il protagonista vagare senza meta si comincia a ricordare il modo in cui Wim Wenders faceva cinema un tempo. Lungo questo scivolo citazionista che attraversa la storia del cinema si arriva infine dalle parti di Jim Jarmush e, vista la compressione temporale in un'unità ristretta come una (pessima, terribile) giornata, ad opere come La 25a ora di Spike Lee o Fuori Orario di Martin Scorsese.
Ricapitolando: un storia senza meta come quelle dei francesi e degli italiani degli anni '60, condita dall'umorismo di Woody Allen, nel paese di Wenders, in una narrazione da cinema moderno americano. Si nota che quest'opera prima di Jan Ole Gerster, che scrive e dirige, è il suo diploma alla scuola di cinema e televisione di Berlino.
La storia è in realtà quella di un personaggio antico almeno quanto Ulisse (sia quello di Omero che di Joyce): Niko Fischer (Tom Schilling) si muove per Berlino alla ricerca di un caffè, incontrando varie persone e destreggiandosi fra altrettante situazioni. Spiegare di più toglierebbe gusto alla pellicola. 
Nonostante il fatto di essere un prototipo, il film non ha difetti d'ingenuità contenutistica o stilistica.   L'unica cosa che gli manca davvero, secondo me, è un certo passo di carica, un certo ritmo sostenuto che sarebbe stato necessario conferire in sede di montaggio. Invece, nonostante si rida e si apprezzi quanto avviene sullo schermo, alla lunga penetra nella coscienza dello spettatore una sensazione di stanchezza, quasi come se nella seconda parte il film si trascinasse. Eppure è un lavoro diretto con capacità, dove tutto è corretto e nel posto giusto, anche se forse, per far digerire meglio la gran parte dei dialoghi, serviva qualche guizzo d'inventiva in più in fase di regia.
In ogni caso è la sceneggiatura a caratterizzare il film, non solo attraverso la costruzione dei lunghi dialoghi, come detto, ma anche mediante una struttura sapientemente studiata. Presente passato e futuro s'incontrano senza enfasi ed esaltazione per le vie di una città come Berlino, che ha proprio la caratteristica di essere allo stesso tempo imprigionata nel suo passato (Oh Boy è anche, a suo modo, un originale film sul nazismo) mentre tenta disperatamente di proiettarsi verso il futuro.


L'autore sa dosare le parti, sa quando e come alleggerire, e come imbastire un'alternanza di pieni e vuoti, di scene intense e di svago che danno equilibrio all'esperienza di visione. Ad esempio ci sono genuini pezzi di bravura e manifestazioni di verve comica non comuni, anche se, a voler proprio essere minuziosi, si potrebbe dire che spesso i personaggi che non sono Niko appaiono un po' più come espedienti narrativi che come figure reali. Appaiono e scompaiono al momento giusto senza una vera e propria psicologia, utili ad innescare mirate riflessioni nel protagonista e nel suo spettatore-ombra. Una cosa che, giusto per dire, in Fuori Orario e La 25a ora non succede. I personaggi secondari del film vanno così a comporre un recinto di figure attanziali contro cui il protagonista va a sbattere, diventando perciò unico obiettivo (nonché già unico punto di osservazione) dello sguardo dello spettatore.
Non so dire se questo sia un film tipicamente tedesco (in patria ha vinto ben 6 German Academy Awards, stracciando la concorrenza agguerrita e milionaria di Cloud Atlas) ma è sicuramente e fortemente un film europeo. In un'opera della tipica Hollywood non capiterà mai di trovare un protagonista così passivo e negativo (disoccupato, indolente, scostante, confuso) che assurge ad eroe positivo. Anche per questo Oh Boy è un film che rifugge la comune morale benpensante, proponendo un ritratto dolceamaro e fosco, ma anche teneramente indulgente, della nostra società.
Le secchiate di piccole riflessioni che colpiscono Niko nella sua giornata infernale estendono la loro portata anche verso lo spettatore, portandolo a smarrirsi nella metropoli, per poi mostrargli quanto sia duro e frustrante ritrovarsi.
Poco importa se ai nostri occhi il film sia riuscito appieno o meno, o se, e in quale misura, il pubblico voglia apprezzarlo. Come il suo protagonista, Oh Boy, un caffè a Berlino, non ha nessuna voglia e nessun bisogno di essere giudicato.