giovedì 29 dicembre 2011

Il Buono, il Brutto e il Cattivo del 2011


BRUTTO                                                     CATTIVO                                                             BUONO

Dormire bloccati come Dracula nella bara, presente? Non è affatto simpatico.
Le sale d'aspetto. Ore e ore a non fare un cazzo.
La terapia intensiva.
Il vangelo secondo Matteo fa cagare! L'ho detto.
Abbiamo già parlato di primizie come il film di BorisHabemus PapamFour Lions, Carnage, Tamara Drewe, Gianni e le donne, Rabbit HoleIl gioiellino, Frozen, Non Lasciarmi e This Must Be The Place.
Drive abbiamo detto che ci è piaciuto, è un buon film, ma lungi accodarsi all'isteria collettiva che vuole affibbiare a un modesto raccontino di genere le sorti di miglior film dell'anno.
The Artist è un meraviglioso omaggio al cinema sorretto da due (tre) attori pazzeschi. Ha delle invenzioni geniali (metacinematografiche e surrealiste) che emergono dalla banalità del resto e che sono dei veri e propri picchi di genio. Sicuramente farà suoi un sacco di Oscar e se li merita. È il film più originale dell'anno, anche se non il più emozionante.
Midnight in Paris è il secondo film che ci fa innamorare della Francia di quest'anno. È il Manhattan europeo del redivivo Woody, con il soggetto migliore e la morale più profonda fra i suoi concorrenti, ma è anche colpevolmente tirato troppo via. Con un maggiore impegno e meno fretta (sia di scrittura che di regia) poteva essere un filmone, mentre si limita così ad essere carino. Ha comunque la locandina più fantastica del mondo e stop.
Le Idi di Marzo è l'ennesima ottima prova di Clooney regista, e per quanto mi riguarda, l'ennesima prova d'attore monocorde di Ryan Gosling. Un bel thriller sulla politica, ma è molto più teatrale questo di Carnage, ve lo sto a dì.
Miracolo a Le Havre, dite capolavoro quanto volete, ma per me è un film vecchio e noioso. Con una morale risaputa, uno stile incomprensibile e una storia che maschera le sue lacune dietro la scusante (ormai universale) di fiaba. Sia chiaro, non è da buttare eh, sennò non starebbe nella colonna del "buono". Però...
Melancholia è stato una bella sorpresa, intrigante e affascinante. Con un inizio e una fine memorabili e sublimi, e tutto quello che ci sta in mezzo che boh, è Lars Von Trier.
Contagion bello. Un film attuale e interessante. Che è molto più di quanto si possa dire di tante fighetterie che si studiano al DAMS. Anche se quest'anno ho avuto la fortuna di vedere un altro film di Soderbergh che non è stato distribuito: The Girlfriend Experience che piano piano ti cresce dentro e ti accorgi quanto fosse bello e profondo.
 The Tree Of Life è talmente sublime e monumentale che probabilmente è il miglior prodotto cinematografico dell'anno. E per profondità, importanza, e intensità  di visione se la può giocare solo con Faust, altro ostico e immenso capolavoro visionario. Fra le tante immagini che ho visto, fra le poche che continuano a venirmi in mente, ci sono quelle di questo misterioso e indigesto capolavoro si Sokurov.
Sul fronte dell'animazione possiamo solo che essere allegri. Nell'anno della defaiance della Pixar con il moscio CARS 2, che ci faceva temere scatafasci, abbiamo avuto una reazione della concorrenza con l'eccelso Rango, lo stupefacente Tintin, il ritorno della tanto amata Aardman con Il figlio di Babbo Natale (film sottovalutato ma straordinariamente divertente, intelligente, poetico e appassionante) nonché una sorta di struggente apocrifo Miyazaki dallo studio Ghibli: Arrietty (Gnomeo e Giulietta lasciamolo perdere invece). 
Sì ma, in sostanza, qual'è il film più bello dell'anno?
NON LO SO. Probabilmente è quello che non ho visto. Una Separazione o Il gatto con gli Stivali. E poi ho visto delle robe che devono ancora uscire, come La Talpa che mi ha eccitato tantissimo, o Attack The Block che mi ha divertito assai. Oppure cose vecchissime, tipo Palombella Rossa (che non ho ancora capito), Arancia Meccanica, o Nashville, che è un film che nessuno sarebbe più in grado di fare. Oppure, se devo dire la cosa più straordinaria che ho visto, direi La classe operaia va in paradiso, che sono quei capolavori enormi. E infine mi ricordo che al cinema ho visto anche 2001 Odissea Nello Spazio, e vince lui come al solito, su tutto.
Perciò, perché dobbiamo dire qual era il migliore e fare quelle classifiche del cazzo?  No, ciao. (E comunque vince Living in the material world, shhh!)
Bucare la ruota della bicicletta più volte di quanto non abbia fatto Moser in tutta la sua carriera
Quando te la rubano, quella bicicletta
Conoscere dei nuovi amigos veramente meravigliosi, che a fine anno ti pare di frequentarli da una vita, e invece ti rendi conto che era solo marzo.
I 150 anni dell'Unità d'Italia
I 150 anni dell'Unità d'Italia
I 150 anni dell'Unità d'Italia
Il fatto che le tre cose di sopra le ho sempre riscritte invece di fare copia-incolla
Il fatto che stia pure qui a dirvelo
Spero di essere ancora qui per vedere il 200° dell'Unità d'Italia.
E spero di trovarla unita almeno allora.
Dare ben un esame in tutto l'anno
Un esame di Lughi
Berlusconi è caduto!
Ah no, guardalo lì.
E vuole tipo imporci come premier Alfano
Mastella però ancora non si vede.
L'infermiera che ti taglia il braccialetto blu per questioni d'infezione.
Il braccialetto blu è quello che deve portare ricchezza.
Quando l'altra infermiera ti porta  uno yogurt in più segretamente.
Il dolore vero.
Quello che non auguri al peggior nemico.
La morfina.
Le signore che vanno al cinema commentando tutto il tempo
Le signore che vanno al cinema facendo versi tutto il tempo
Il cinema Massimo, rifugio e casa nei momenti più bui e più lieti.
Lo scioglimento dei R.E.M.
Tutta i grandi nomi morti quest'anno, da Bonatti a Bin Laden a Bonelli e Bocca ecc. Cribbio, sta a vedere che non devi chiamarti con la B.
L'impronta che hanno lasciato, così grossa che se non ci stai attento ci cadi dentro

Ci interrompiamo per un piccolo omaggio ai R.E.M. con una cover di una loro canzone da un gruppo che non credevo, ma bella bella... bravi.

L'ultimo album dei Coldplay, che fino a X eY mi avevano incantato con il loro rock da piccola orchestrina sommessa, riempiendo ogni disco di piccoli e struggenti capolavori, e che da Viva La Vida in poi sono diventati una boy band che fabbrica pop stupido per scalare le classifiche, gettando all'aria il proprio talento. Il duetto con Rihanna dice tutto quello che non avrei voluto dire.
Perdersi il concerto di Bob e Mark Knopfler. Ecco una cosa veramente infame.
Ah beh, allora di sicuro ci mettiamo i Wilco ai primi posti. Bon Iver poco distante, entrambi hanno dominato l'iPod. Ben Harper non mi ha entusiasmato come in passato, ma come  per Daniele Silvestri, dobbiamo essere grati ogni anno in cui si palesano a dirci qualcosa. Helplessness Blues è un disco immenso e  indimenticabile, per varie ragioni. Uno scrigno di preziose canzoni antiche e moderne in una formula che solo i Fleet Foxes sembrano in grado di conoscere. Per lungo tempo ho pensato che niente avrebbe potuto sconfiggere Torno a casa a piedi di Cristina Donà, che l'ho sentita pure dal vivo e wow! 
Poi però sono arrivati i dischi di Noel Gallagher (che non è suo fratello ed ha scritto le più grandi, le uniche canzoni degli Oasis che ci ricordiamo) i nuovi Radiohead, i Kasabian, Kate Bush e soprattutto LUI, il ritorno del maestro Ry Cooder, con un album di alta qualità in cui ogni tanto spiccano piccoli capolavori sul mondo di oggi, e dove il suo virtuosismo chitarristico emerge a brevi sprazzi senza castrare il resto, ma anzi valorizzandolo. Ricorda un po' l'ultimo Dylan come voce e come uso della fisarmonica. Massì, la fisarmonica, fidati. 
Comunque sia, io quest'anno le cose che ho sentito di più sono i Bedouin Soundclash, i Vampire Weekend, Steve Earle, i vecchi Wilco, Elton John e Leon Russel, i quattro Beatles divisi nei loro dischi solisti, i Kula Shaker, Marc Ribot Y Los Cubanos Postizos, Isobel Campbell e Mark Lanegan, Stefano Bollani e tutta una serie di altri che non sto quiadireperòguardachemeritanotelogiuro.
Piacere segreto: The Lost Notebook Of Hank Williams in cui grandi artisti rielaborano le canzoni del padre del country, ed in cui cantano sia Bob che suo figlio Jakob. Non insieme però, ah!


Ma sai che a volerlo trovare, fatico a dire un fumetto brutto? Almeno uno dici? Toh e toh. Due.
Un fumetto cattivo? Non esageriamo, i fumetti sono tutti buoni e belli. Ma uno cattivo nel senso spietato e sadico eccolo qui.
Ho l'impressione, caro lettore, che a te non fotta più di tanto di questi elenchi. Però ti assicuro che lo faccio per far conoscere delle robe che altrimenti ti perdi, e mi dispiacerebbe. Robe come queste insomma (sarò veloce): l'ultima fatica di Brian K. Vaughan, autore geniale e prezioso da tenere sempre d'occhio. La ristampa di Tintin, inestimabile reperto della storia del fumetto, godibilissimo ancora oggi, e non smetterà mai di esserlo. No Pasaran del maestro Vittorio Giardino,  il meglio che il fumetto italiano sia stato in grado di offrire da parecchio tempo. Tutte le cose scritte e disegnate da Joe Sacco, e poi in generale tutta questa bella roba qui.
Twitter non ho capito cosa sia, ma mi sembra qualcosa messo lì apposta a gonfiarti l'ego.
Facebook che ogni giorno ti propina le idiozie di centinaia di cerebrolesi, puttanate galattiche sui sentimenti, mini-recensioni del film di Pieraccioni, link a video dove la gente si vomita addosso, spezzoni di Reality Show stranieri dove le ragazze sono tutte svestite e i maschi tutti palestrati. Ah no, non sono stranieri, sono italiani. Solo che non riesci a capirli.
Chiudere il computer e passeggiare, magari con G. per le vie del centro, riuscendo a fare incredibilmente, un discorso che non è stupido.
La crisi!
La crisi negata. I ristoranti pieni.
Il modo in cui Google cambia sempre il titolo in maniere stupefacenti. Lo so che non c'entra una sega, però non è che abbiamo molto altro.
WIndows, lo stupido computer dagli stupidi programmi.
Il documentario ECO, che ho montato. E non è venuto benissimissimo.
Il trailer però, che ho montato da solo, mi garba.
Le riunioni di brainstorming, che è già di per sé una parola che mi spaventa.
La tua idea, scartata e gettata via. La vedi allontanarsi mentre ti saluta, nell'oblio di tutte le cattive idee, insieme con il ponte sullo stretto di Messina.
Riuscire a girare questo in due giorni, montarlo in due ore, e vederlo poi sul sito del DAMS per quasi un anno. E divertirsi anche nel farlo. Grazie Riccardo.
L'aspetto finale di questo post, ancora.
Mi fa venire il vomito e il mal di testa guardarlo. Oddio...
Niente paura, si finisce con Norah Jones. Sì, mi piace Norah Jones, e allora?
Il post operazione
Il pre operazione.
La quiete e la dolcezza dell'anestesia

E poi un sacco di altre cose, con l'amara consapevolezza che il male ha ben due colonne dalla sua, una peggio dell'altra, mentre il bene deve accontentarsi di una. Ma guarda quanto è più folta quella colonna, nonostante tutto. Li straccia.
Io dico perché abbiamo la fortuna di vivere soggettivamente la realtà. Ed è oggettivo che la realtà sia dominata da cose negative. Oggettivo e assoluto. Ma la memoria non ricorda la sofferenza o il dolore a distanza di tempo. Quelli si vivono nel presente, si soffre nel presente. Ma quando il presente diventa passato, gli unici ricordi che resistono, sono quelli che vogliamo con noi. Ricordiamo il bene, ricordiamo il piacere che c'è stato, e che in fondo, è ancora lì da qualche parte pronto a riemergere. Il male non resiste alla prova del nostro, personale, e intimo tempo.
E quindi bisogna ringraziare, non so chi, forse il destino, ma bisogna farlo. Sono sopravvissuto a Mirigliani, a Gheddafi, a quell'altro dittatore coreano, a Simoncelli, a Liz Taylor, Peter Falk, Gene Colan. Sono sopravvissuto a Steve Jobs, cazzo!
Sì, certo, il male è ancora lì. Credevo se ne sarebbe andato invece ci sarà ancora un bel po' da lottare. Ma arriverà il giorno in cui sarà solo uno sbiadito ricordo.


Buon Anno a tutti

sabato 24 dicembre 2011

Discorso all'umanità

Quest'anno abbiamo detto addio (spero) al nostro grande dittatore, almeno per quanto riguarda il lato più evidente della sua azione. Perciò mi sembra la cosa migliore fare gli auguri con questo discorso, che è (e mi auguro saremo tutti d'accordo) una delle più alte vette mai raggiunte dal Cinema di tutti i tempi.
Insomma, Buon Natale, inteso come occasione per fare qualcosa di buono e di migliorare un po' quel che ci sta intorno, partendo magari da noi stessi.





Charlie Chaplin moriva in Svizzera 34 esatti anni fa, nel giorno di Natale.
Ma in realtà è ancora vivo.

domenica 18 dicembre 2011

This Must Be The Place

Ancora il ripescaggio di una roba ormai un po' vecchiotta. Però a capodanno bisogna dar via la roba vecchia, ah!
(Come? Non è Capodanno? ehm....)


La locandina più bella del mondo.
Se Paolo Sorrentino fosse un attore sarebbe probabilmente un caratterista, una macchietta. Uno di quei personaggi di contorno, un po’ strani, che finirebbero per essere comprimari del protagonista. Invece Paolo Sorrentino è un regista, e può permettersi di dedicare film interi a questi mostri che tanto lo affascinano.
A proposito di fascino, in occasione del Festival di Cannes 2008, quando Il Divo passò sotto gli occhi del presidente di giuria Sean Penn, Sorrentino parlò del loro incontro, dichiarando che sebbene fosse un maschio, non era stato facile resistere al magnetismo dell’attore. A sua volta, l’interprete californiano, impressionato da quella pellicola, manifestò di voler lavorare con lui a qualsiasi costo. Ma se la teoria iniziale è vera, Penn era troppo attraente per fare il mostro. Perciò il regista napoletano è dovuto ricorrere ancora una volta al trucco, sia cosmetico che dei costumi, sull’onda dei suoi precedenti personaggi Andreotti e Geremia de’ Geremei.
Sean Penn è stato così calato nei panni di un ipotetico Robert Smith, del tutto privo però del lato oscuro dei Cure. Caratterialmente il suo Cheyenne è forse più simile a un (im)maturo Michael Jackson, con il cervello fulminato dalle droghe di Ozzy Osbourne. Un punk in pensione, sereno e domiciliato nella quieta Irlanda. Amico non di tatuati ribelli del rock, ma di un raffinato musicista come David Byrne. La presenza di quest’ultimo si spiega sostanzialmente con la scelta della sua canzone This Must Be The Place, non solo come titolo del film, ma proprio quale ispirazione tematica. In quei versi i Talking Heads dicono “Casa è dove voglio essere, ma credo di esserci già” “Ho un sacco di tempo” “Mi piace lo scorrere del tempo, mai per soldi, sempre per amore” “Sono solo un animale in cerca di una casa, condividiamo lo stesso spazio per un minuto o due”.

Cheyenne non è altro che un insolito pensionato, vittima della noia, passeggero di una vita alla deriva. Un uomo che trascorre i suoi giorni insoddisfatto, ma incapace di cambiare. Sean Penn rende questo stato di depressione riducendo al minimo i movimenti, apparendo costantemente come spettatore esterno degli eventi che lo coinvolgono. Come tutti gli uomini afflitti dalla solitudine, Penn non parla e non fa molto, il più delle volte limitandosi a reagire se interpellato.
Quello nascosto dalla cinepresa forse è Luca Bigazzi
Il suo personaggio ha un lungo passato di eccessi che lo condiziona, simboleggiato dall’inseparabile trolley che porta con sé, ma è contraddistinto anche da una sorta di candore infantile, per cui non fuma e non beve nient’altro che una strana bibita gialla, simile a un succo di frutta. Deambula lentamente, non lo vediamo quasi mai mangiare, parla mantenendo una postura immobile, e per lo più i suoi comportamenti sono caratterizzati dalla ciclicità. Calza gli occhiali per leggere, soffia via costantemente un ciuffo di capelli ribelle, e libera sempre la stessa risatina stridula. L’abitudine e la ripetitività sono componenti fondamentali della sua vita, testimoniate anche dai giochi e dagli hobby che lo legano a sua moglie.
Penn accompagna le sue movenze a un uso altrettanto rallentato della voce, perennemente in falsetto, simile al modo in cui rendeva il ritardo mentale di Sam Dawson nel film Mi chiamo Sam del 2001. Per tutto il suo viaggio attraverso l’America, alla ricerca del gerarca nazista che umiliò suo padre in un campo di concentramento, Cheyenne/Penn sembra più un turista che un uomo affamato di vendetta. In gran parte del tempo si limita a osservare, senza prendere parte nemmeno agli eventi più insoliti. È un bravo ascoltatore, vive la vita del tedesco semplicemente parlando con quelli che gli sono vicini, arrivando a conoscerlo perfino meglio di quanto non abbia fatto con suo padre.
A sinistra Umberto Contarello, l'altro dimenticato
sceneggiatore del film. In centro Eve Hewson, la figlia di
Bono (sì lo sappiamo, abbello!). A destra Cheyenne dopo
la cura liberatoria di aver umiliato un nazista.
In un’altra intervista Penn ha chiarito la natura del suo rapporto con Sorrentino, specificando di essere soltanto una tela su cui lui può dipingere. Difficile perciò stabilire dove finiscano o inizino le influenze di uno o dell’altro nella costruzione del personaggio. Ciò che è certo, è che in qualità di prestigioso regista oltre che interprete, l’attore americano assicura in questo modo la sua totale disponibilità nei confronti dell’autore, annullando il proprio status di divo. Tecnicamente il corpo di Penn diventa uno degli elementi compositivi dell’inquadratura. I quadri in (eccessivo) movimento di Sorrentino lo utilizzano per caratterizzare le immagini, per costruirle. Cheyenne è sempre inserito nel paesaggio, ed è con il suo costume e le sue atipiche movenze che riesce a fuoriuscirne, come una stonatura. Metaforicamente, Cheyenne è prigioniero di una sorta d’immobilità auto imposta, sia all’interno della sua storia e della sua personalità, sia all’interno del linguaggio del film. Ed è in impercettibili variazioni nella sua personalità, come una maggiore apertura verso gli altri e una minore paura nei confronti della vita, che la ricerca di vendetta si trasforma nel più classico viaggio di formazione.
-WTF?
-Che cazz'è?
Al termine, il suo ritorno in Irlanda ci dice che quello dev’essere il posto, che non era necessario girare l’America per sentirsi a casa. Cresciuto e spogliato delle sue paure e della sua maschera, Cheyenne appare come un comunissimo uomo di mezza età, in abiti borghesi e acconciatura rispettabile. La normalità come traguardo, anche se un’altra delle teorie su questo misterioso finale è che quello sia in realtà proprio Sean Penn, suggerendo un sofisticato gioco sull’attore.
In ogni caso, è la prima volta che uno dei mostri di Sorrentino approda a un lieto fine, forse proprio soltanto perché questa è una commedia.


Lo so, ho detto tutto e niente. Un po' come fa questo film.

sabato 17 dicembre 2011

Museo del fotogramma 5


Il Bandito


di Alberto Lattuada
Italia - 1946


(Questo è Amedeo Nazzari, e per la cronaca io mi sento come lui)

martedì 13 dicembre 2011

Museo del fotogramma - TFF


M*A*S*H 

di Robert Altman
USA - 1970

Omaggiamo così la retrospettiva del Torino FIlm Festival dedicata quest'anno al grande regista americano, con il fotogramma di uno dei suoi film più rappresentativi.

Se posso aggiungere un ultimo consiglio, se siete fan dei Beatles, della musica in generale, o anche solo di documentari (e se non vi piace nessuna delle tre cose cominciate a porvi delle domande) cercatevi Living In the Material World, documentario di Martin Scorsese dedicato al membro più misterioso dei Fab Four: George Harrison.
Scorsese, abilissimo in questo tipo di lavori, ha costruito un discorso davvero piacevole e interessante intorno all'indimenticabile Beatle, e non fatevi scoraggiare dalle tre ore fantozziane di durata, perché se lo seguite con lo spirito giusto voleranno via.

giovedì 8 dicembre 2011

TFR con il TFF



È tornato!
Qualcuno ha capito il senso di questa (pessima) illustrazione
di Marco Cazzato? (E dire che di solito a me piace eh)
Amici, è tornato il titolo più bello mai concepito a proposito di un festival cinematografico. Che bello. Sono contento.

Ma perdonatemi, quest'anno il Trattamento di Fine Rapporto con il Torino Film Festival arriva un po' in ritardo. E vabbè... Tanto vi dico che per una lu(uuuu)nga serie di problemi non l'ho mica potuto seguire bene come l'anno scorso. Anzi, tutt'altro. Perciò non vi potrete beccare quel sublime lavoro, lo ricordate vero? ma una cosa più raffazzonata. Che poi si sa, che a Natale conta il pensiero, no?
E allora beccatevi i primi due signori pensieri: QUI e QUI.

In confidenza, sul film di Cornish posso dirvi che si tratta davvero di una figata.
A proposito di Joann Sfar (Dessins) invece, devo purtroppo aggiungere che data la sua breve durata era in coppia con un altro documentario: Think About Wood, Think ABout Metal. Una roba che parla di: Robyn Schulkowsky è una percussionista che attraverso la ricerca del suono sulla materia ha provato a trasformare in musica tutto ciò che è visibile, cercando un legame tra musica e immagini. In un alternarsi di esibizioni e discussioni con lo scrittore e docente universitario inglese TJ Demos, si entra in un mondo in cui i concetti di ritmo e strutturazione non lineare del tempo svolgono un ruolo determinante.
Ora, a voi magari leggere questa roba eccita un sacco, e avete pure visto il film e lo trovate geniale, ma per me è stata una sorta di tortura. Non rammento di aver mai visto qualcosa di più brutto. La tronfia Manon de Boer pensa bene di riprendere il nulla per tutto il tempo, facendo lentissime panoramiche su un panorama spoglio, tenendo 10 minuti la camera fissa su un quadratino metallico che ogni tanto viene percosso, girando in un appartamento vuoto per interminabili lassi di tempo. Sperimentale. Avanguardia. Figo, potrete dire voi. Noia, dico io. E vi assicuro che per far dire noia a me ce ne passa.
In realtà il documentario si situa sullo stesso livello del lavoro della percussionista, facendo leva sulla percezione, sui sensi, mettendoci alla prova. E teoricamente la cosa funziona e possiamo parlarne allegramente per ore. Concretamente no, è terribile. Una cosa inguardabile. E ne è riprova il fatto che la gente è uscita in massa, come se neanche Giuliano Ferrara avesse scorreggiato in sala. Una metafora calzante, se mi spiego.