L'estate è arrivata. È cominciata la piccola parentesi temperata stretta nell'abbraccio dell'inverno, che domina inizio e fine di ogni anno. Presto, oltre alle margherite nei campi, fioriranno anche motivetti e canzonette pop nelle nostre radio. I ritmati tormentoni dei Dj, delle pop star e delle boy band usa e getta, faranno irruzione nelle nostre vite connotando il nostro periodo vacanziero, facendosi ballare sulle spiagge, danzando nelle nostre casse/cuffie. Eccetera eccetera.
Ma è qui, in questo spensierato periodo di frizzi e lazzi che s'inserisce il nuovo lavoro di Bon Iver. Bon Iver appunto.
E basta uno sguardo alla copertina per capire in quale livido e autunnale paesaggio stiamo per entrare (cover, tra l'altro, frutto non di un antico pittore fiammingo, ma di un contemporaneo artista statunitense: Gregory Euclide. Qui e qui un interessante making of).
Il successore di For Emma, Forever Ago riparte dagli stessi territori sonori, ma con una più salda tenuta e una più saggia visione d'insieme. Parlo di territori non a caso, perché è questo un disco di luoghi, strade e percorsi. Luoghi deformati come l'America immaginaria di Minnesota Wisconsin, Michicant, una Lisbona in Ohio, una Gehenna sul fiume Hinnon in Texas, e non ai piedi del monte Sion; ma anche reali come Perth, e quindi l'Australia. Non solo luoghi ma anche tempo, un'intera era geologica in Holocene.
Dopo il successo del primo lavoro Justin Vernon, invece di impazzire come un giovane rampante del punk, si è ritirato nella campagna americana del suo Wisconsin, ha prodotto il meraviglioso EP del 2009 Blood Bank, ed ha preparato con tutta calma questa nuova confessione.
La musica di Bon Iver si situa nei paesaggi evocati dalla copertina, fluttua leggera sull'esile impalcatura che piano e chitarre costruiscono attorno al centro della sua musica: la voce. Il suo falsetto si fa carico di ritmo, variazioni, cambi in corsa e, in generale, di veicolare emozioni. Le canzoni di Bon Iver sono appunto confessioni, carezze o lacrime versate sul pentagramma. Parole dette con sincerità, con una schiettezza che non permette di strapazzarle su di una musica troppo potente, ma solo su di un tappeto sonoro. Non c'è molta varietà in questo disco, ma piuttosto una rara coerenza e un'esigenza primaria di comunicazione.
Mentre arriva una torrida estate, Bon Iver ci propone una cerimonia, un momento di raccoglimento, quasi di preghiera. Continua a farci vivere il tempo, e non a invitarci a superarlo. Canta sottovoce un disco invernale, e lo chiama con il suo nome. La storpiatura del francese Bon hiver. Buon inverno.
che copertina diofa
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