domenica 31 luglio 2011

No Distance Left To Run




Damon Albarn, per chi scrive, è uno dei geni della sua generazione e della musica contemporanea in generale. C'è stato un tempo in cui insieme a Dave Rowntree (batteria), Alex James (basso) e Graham Coxon (chitarra) militava nei Blur, sui quali ci sarebbero un paio di cose da dire, ma -hey- questa è la rubrica videoclip, per cui ci penseremo un'altra volta.
No Distance Left to Run è il terzo ed ultimo singolo del penultimo album della band: 13, uscito nel 1999. A dire la verità, sarebbe in teoria l'ultimo lavoro della band ufficiale, perché al successivo Think Thank, Coxon partecipò solo marginalmente. Era un periodo turbolento per il gruppo, la carriera solistica del chitarrista era già partita, l'avventura di Albarn con i Gorillaz stava per cominciare, e le turbolente divergenze fra i due erano amplificate dal peggioramento della dipendenza dall'alcol di Coxon. Ma anche questo è un binario differente, noi dobbiamo tornare a quello che, per inventiva, fantasia e sregolatezza, viene definito il Sgt. Pepper's dei Blur.
Fu proprio Coxon a spingere per portare la loro musica oltre i confini del navigato britpop, verso nuovi territori sonori, concettuali, elettronici (inflessione testimoniata dall'assunzione in veste di produttore di un mago dell'elettronica come William Orbit).
Così, dietro una copertina raffigurante Apprentice, un dipinto ad olio dello stesso Coxon, trovano posto capolavori come Coffee & TV, Battle, Tender, e appunto No Distance Left To Run. Queste ultime due sono l'ossatura e l'impronta del disco, entrambe composte da Albarn sulla scia della sua separazione da Justine Frischman (cantante delle Elastica).
Ne deriva uno struggente brano sulla separazione, sulla forza di dire addio, sull'affrontare un tempo che non tornerà più (ma lo spiegherà meglio (!) il cantante al termine del video). Il tema è immenso, è una voragine, ed è meraviglioso come in pochi versi i Blur abbiano saputo trasmettere un così profondo senso di dolcezza, nonostante tutto.
Il video prende spunto da uno dei versi della canzone ed esplora in modo molto delicato la vita notturna dei membri della band. È diretto da Thomas Vinterberg, tipo strano, regista danese co-fondatore del Dogma 95 insieme a Lars Von Trier. E chiamatemi pigro, ma con la pagina di Wikipedia pronta e comoda non sto io a spiegarvi cos'era.
Un'ultima cosa, il titolo di questa canzone è divenuto anche quello di uno stupendo documentario del 2010 diretto da Dylan Southern e Will Lovelace,  che racconta la breve e fulminante storia della band, ripercorrendola attraverso le voci dei protagonisti ritrovatisi in occasione della reunion del 2009, con concerto ad Hyde Park e conseguente tour. L'ho visto ed è veramente bello. Non dice tutto, non ne ha la pretesa, ma ha la struttura di un vero e proprio film, ed il momento in cui finalmente fa la sua comparsa Tender è commovente. Potrei pure mettermi a recensirlo, ma ormai mi avete classificato come pigro, quindi nulla. Però se siete minimamente fan guardatelo, fidatevi.
Orbene, il video c'è, le foto anche, qui sotto vi piazzo il testo, e direi nemmeno a noi è rimasta più distanza da percorrere.
Buona notte...

It's over 

you don't need to tell me 
I hope you're with someone 
who makes you feel save in your sleeping tonight 
I won't kill myself trying to stay in your life 
I've got no distance left to run 

When you see me, 
please, 
turn your back and walk away 
I don't wanna see you 
'cause I know the dreams that you keep 
that's where we meet 
when you're coming down 
think of me here 
I've got no distance left to run 

whoo whoo whoo 

It's over 
I knew it would end this way 
I hope you're with someone 
who makes you feel 
that this life, is a life 
Who settles down, 
stays around, 
spends more time with you, 
I've got no distance left to run 

I'm coming home 
It's over 
come on home 
no more

sabato 23 luglio 2011

I'll Take the Rain

Torino sembra essere l'unica città in cui può piovere per sempre. O meglio proprio quando sono in bicicletta, per smettere non appena entro in casa. Di sicuro, il fronteggiarla così tante volte porta a fare strani pensieri sulla sua natura, a non vederla come qualcosa da subire passivamente, ma, in qualche modo, come un elemento da affrontare, con cui mettersi alla prova. Metaforicamente e non. E questo ci porta al videoclip di oggi.


I'll Take The Rain fu il terzo singolo estratto da Reveal (2001), uno degli album dei R.E.M. a cui sono più legato. Il videoclip è diretto da David Weir, il quale successivamente è pressoché scomparso. Sebbene non l'abbia mai compreso del tutto fino in fondo, mi ha sempre ipnotizzato e commosso, per l'atmosfera che riesce a creare.

Per quando riguarda la pioggia invece, forse l'attiriamo con le nostre azioni, forse ce la meritiamo. Forse dovremmo tutti trasferirci nel deserto.

the rain came down
the rain came down
the rain came down on me.

the wind blew strong
the summer song
fades to memory

I knew you when
I loved you then
the summer's young and helpless.

you laid me bare
you marked me there
the promises we made.

I used to think
as birds take wing
they sing through life so why can't we?
if you cling to this
and claim your best
if this is what you're offering
I'll take the rain
I'll take the rain

the nighttime creases
summer schemes
and stretches out to stay.
the sun shines down
you came around
you love easy days.

but now the sun,
the winter's come.
I wanted just to say
that if I hold
I'd hope you'd fold
open up inside, inside of me.

I used to think
as birds take wing
they sing through life so why can't we?
if you cling to this
and claim your best
If this is what you're offering
I'll take the rain
I'll take the rain

this winter song
I'll sing along
I've searched its still refrain
I'll walk alone
I've given this, take wing
celebrate the rain.

I used to think
as birds take wing
they sing through life so why can't we?
if you cling to this
and claim your best
If this is what you're offering
I'll take the rain
I'll take the rain
I'll take the rain.

sabato 16 luglio 2011

Un disco per l'inverno

L'estate è arrivata. È cominciata la piccola parentesi temperata stretta nell'abbraccio dell'inverno, che domina inizio e fine di ogni anno. Presto, oltre alle margherite nei campi, fioriranno anche motivetti e canzonette pop nelle nostre radio. I ritmati tormentoni dei Dj, delle pop star e delle boy band usa e getta, faranno irruzione nelle nostre vite connotando il nostro periodo vacanziero, facendosi ballare sulle spiagge, danzando nelle nostre casse/cuffie. Eccetera eccetera.
Ma è qui, in questo spensierato periodo di frizzi e lazzi che s'inserisce il nuovo lavoro di Bon Iver. Bon Iver appunto.
E basta uno sguardo alla copertina per capire in quale livido e autunnale paesaggio stiamo per entrare (cover, tra l'altro, frutto non di un antico pittore fiammingo, ma di un contemporaneo artista statunitense: Gregory Euclide. Qui e qui un interessante making of).
Il successore di For Emma, Forever Ago riparte dagli stessi territori sonori, ma con una più salda tenuta e una più saggia visione d'insieme. Parlo di territori non a caso, perché è questo un disco di luoghi, strade e percorsi. Luoghi deformati come l'America immaginaria di Minnesota Wisconsin, Michicant, una Lisbona in Ohio, una Gehenna sul fiume Hinnon in Texas, e non ai piedi del monte Sion; ma anche reali come Perth, e quindi l'Australia. Non solo luoghi ma anche tempo, un'intera era geologica in Holocene.
Dopo il successo del primo lavoro Justin Vernon, invece di impazzire come un giovane rampante del punk, si è ritirato nella campagna americana del suo Wisconsin, ha prodotto il meraviglioso EP del 2009 Blood Bank, ed ha preparato con tutta calma questa nuova confessione.
La musica di Bon Iver si situa nei paesaggi evocati dalla copertina, fluttua leggera sull'esile impalcatura che piano e chitarre costruiscono attorno al centro della sua musica: la voce. Il suo falsetto si fa carico di ritmo, variazioni, cambi in corsa e, in generale, di veicolare emozioni. Le canzoni di Bon Iver sono appunto confessioni, carezze o lacrime versate sul pentagramma. Parole dette con sincerità, con una schiettezza che non permette di strapazzarle su di una musica troppo potente, ma solo su di un tappeto sonoro. Non c'è molta varietà in questo disco, ma piuttosto una rara coerenza e un'esigenza primaria di comunicazione.
Mentre arriva una torrida estate, Bon Iver ci propone una cerimonia, un momento di raccoglimento, quasi di preghiera. Continua a farci vivere il tempo, e non a invitarci a superarlo. Canta sottovoce un disco invernale, e lo chiama con il suo nome. La storpiatura del francese Bon hiver. Buon inverno.


sabato 2 luglio 2011

1976

Inauguriamo una nuova rubrica: Il videoclip
In cui si parlerà di economia gestionale...
Ahah!
No ovviamente verranno mostrati alcuni videoclip degni di nota, per qualsivoglia motivo. Iniziamo con


RJD2 è un Dj e produttore musicale statunitense con qualche successo disseminato nella sua carriera quasi decennale. 1976 è la sua data di nascita, e la canzone è contenuta nell'album Since We Last Spoke del 2004. Il videoclip è stato diretto da Left Channel, uno studio di grafica e design attivo in una grande varietà di prodotti e contributi audiovisivi (il consiglio è di guardarsi il loro show reel per rifarsi gli occhi).
Insieme, canzone e video, sono semplicemente uno spettacolo.