domenica 1 maggio 2011

Settuagenario Cavaliere Offre Tenda Con Harem

S.C.O.T.C.H. è il titolo dell'ultimo disco di Daniele SIlvestri, un acronimo cui lo stesso cantautore ha invitato i suoi fan a dare un'interpretazione. Quella frase lassù è una delle sue preferite, ma ce ne sono molte altre nel libretto dell'album, che a dire la verità era atteso da più di quattro anni. Strana la carriera, anzi proprio l'intera figura, di Daniele Silvestri, che dal 1994 al 1996 ha sfornato un disco all'anno, per poi rallentare e lasciar gonfiare i tempi. Il risultato è che nell'olimpiade ci è mancato, e tutte le volte, quando ritorna, ci fa capire quanto. Quando si era presentato a San Remo con quella dolceamara genialata de La Paranza sembrava invecchiato e provato da questi tempi difficili, mentre adesso si è ripresentato ripulito, ringalluzzito, come se ci avesse ormai fatto l'abitudine (e avesse lavorato sulla sua immagine).
Dice che nei quattro anni (di lavoro) ha scritto più di trenta canzoni, e non si stenta a crederlo, dato che qui ne sono finite ben quindici, un vero evento nell'era delle nove tracce. L'impressione comunque, ascoltandolo, non è di sovraccarico o pesantezza, S.C.O.T.C.H. è un album importante nei temi ma agile nelle melodie, piuttosto vario, sebbene tenda verso una precisa direzione.
L'inizio con Le navi è fra i suoi momenti più poetici e ispirati, in cui parole dolenti camminano sopra un tappeto di note che scorre timidamente. Al di là della sua dolcezza formale, fa emergere il male di vivere questa società, che caratterizza anche il resto delle composizioni. È forse il momento più delicato di tutto il disco.
Sornione invece, scritta e cantata insieme a Niccolò Fabi, è una canzone sussurrata, che comunica in modo molto intimo. Il suo arrangiamento svolge funzione di accompagnamento e non brilla mai, mentre il testo, acuto e intelligente, è come sempre il punto forte del lavoro di Silvestri.
Cos'è sta storia qua e Fifty Fifty sono piccole e scattanti canzoni dal ritmo allegro e dalla strumentazione piuttosto varia, in cui il cantautore romano fa quello che gli riesce meglio: parlare della vita quotidiana. La prima è la cronaca di una giornata caotica in una grande città, raccontata con ironia e con quella verve che sta a metà fra pop e hip hop, e che è fin dagli inizi il suo marchio di fabbrica. Nella seconda torna a farsi cantore delle dinamiche di coppia, usando frasi, modi di dire e caratterizzazioni della moderna convivenza sentimentale.
Con Acqua Stagnante si apre la sequenza di capolavori del disco. Silvestri è riuscito ad inquadrare l'amore ancora da una prospettiva diversa, ed è riuscito a parlarne con una semplicità e profondità uniche. Rinnegare l'amore, rifiutare la propria natura, per non essere giudicati, significa non avere alcuna corrente dentro di sé, significa lasciare che la propria vita diventi una pozza stagnante. A tutto ciò aggiungete la sua voce sofferta, ed uno splendido arrangiamento che mescola sonorità elettriche alla calda carezza dei violini. Stupenda, una canzone per qualsiasi tipo di amore.
Precario il mondo, presentato in anteprima a Vieni via con me, è il brano attorno al quale si è formato tutto il disco, il perno stilistico e tematico di S.C.O.T.C.H. È una canzone al 100% Daniele Silvestri, ha la sua impronta, i suoi giochi di parole, la sua ironia, ma anche i risvolti più lirici. È un manifesto di questo paese e non solo, come indica il titolo, di tutto un mondo. Sarebbe stato difficile dirlo meglio.
Ad un certo punto compare Raiz per un fulminante intermezzo in cui canta una versione napoletana e furiosa di Che bella faccia, risalente al precedente Il Latitante.




La chatta è il gioiellino comico che Silvestri infila in ogni suo lavoro. La rilettura della canzone di Gino Paoli gli è venuta straordinariamente, e riesce anche ad essere intelligente e utile. Una canzone sulla realtà delle chat, dei profili online, della nostalgia verso i primi passi della rete internet, così come colma di nostalgia era l'originale. Geniale, e sublime l'apporto del cantautore friulano.
Io non mi sento italiano invece era troppo seria e troppo importante da storpiare. Attualissima oggi come nell'ormai lontano 2003, i suoi versi sono ipnotici e granitici, e serviva un grande cantautore per interpretarla degnamente. Silvestri ne ha realizzato un'importante aggiornamento, in una versione per questa e le future generazioni, e per farlo ha puntato su un arrangiamento fine, sofisticato, esuberante, dato che il testo era già perfetto. Qui bisogna fermarsi a fare i complimenti alla sua band: Piero Monterisi (batteria) Maurizio Filardo (chitarre), Gianluca Misiti (tastiere), Gabriele Lazzarotti (basso) e Ramon Josè Caraballo (tromba e percussioni).
Anche questa è una canzone nata dal programma di Fazio, ma insieme alla precedente spinge a fare una riflessione. Nel modo in cui si approccia ai classici, nel modo in cui lo diventa, nel modo in cui gioca con la lingua e la usa per parlare a tutti noi, Daniele Silvestri è l'ultimo cantautore assimilabile alla nostra grande tradizione. Il suo sguardo è personale, come per tutti i migliori, ma appartiene alla scuola dei vari Gaber, De André, Dalla, o lo stesso Paoli, per il modo in cui riesce ad essere (per fortuna) italiano.
Monito® è la sferzata elettrica che a Silvestri piace fare ogni tanto. Come sempre serve a dare energia all'ascolto, ma il suo rock riesce ogni volta a non essere mai vuoto. Il suo ritratto di un Presidente della Repubblica impotente è una delle immagini più forti e interessanti dell'album, uno dei pezzi da salvare.
Ma che discorsi è il secondo singolo rilasciato in contemporanea al precedente. Accontenta gli altri palati del cantautore romano, e si rivolge ad un pubblico più ampio possibile, essendo la traccia più abbordabile. Ancora una volta la sua analisi delle parole che gli amanti si rivolgono si rivela precisa, ed è anche per questo che lui continua a piacere molto. Ogni volta, dopo che la musica finisce, ci si rende conto che quella canzone ci stava parlando.
In Acqua che scorre, come per un simmetrico rimando alla quinta canzone, Silvestri e  Diego Mancino (reduce da anni di gavetta nel sottobosco italico), scrivono e intonano un brano che parla dei sogni, dei desideri che vengono ad arricchire il grigiore della nostra quotidianità. Ispirato e lieve, dolce come rare volte.
Lo scotch è il pezzo più difficile e complicato, se ne potrebbe parlare a lungo. Parte come racconto di un trasloco in salsa reggae, si prende i suoi tempi raccontando di come una vita non possa stare costretta dentro a delle scatole, vede l'arrivo di Bunna degli Africa Unite, sperimenta un Silvestri che canta in inglese, diventa teatro canzone con la parte di Peppe Servillo degli Avion Travel, si perde, si sfilaccia e si ritrova sino ad una fine che si spegne lentamente, in cui Andrea Camilleri racconta una storia con la sua voce antica. Un esperimento difficile, un brano che racchiude tutto un disco.
L'appello è un altro gioiellino nascosto, una frizzante canzonetta in disimpegno che, al contrario, ha forse il testo più drammatico di tutti. Racconta di Paolo Borsellino mettendosi nei panni di suo fratello Salvatore. È una di quelle cose che avrebbe potuto fare solo Silvestri, certo, con l'arrangiamento strepitoso della sua band.



In un ora soltanto non è, come la precedente, una canzone che salta addosso all'ascoltatore. Per questa è necessario un ascolto attento, è un sussurro flebile, notturno, è della musica fluida, senza schemi o ritornelli precisi, è più qualcosa di sensazioni. Una di quelle canzoni d'amore sottili e sognanti, che accompagnano i pensieri degli amanti nel limbo in cui scompaiono.
Il finale di un disco così vario e dinamico non dev'essere stato facile da decidere, ma la scelta di Questo paese è stata perfetta. Il pianoforte di Stefano Bollani affresca una melodia semplice, da inno acustico, mentre il ritratto dell'Italia di Silvestri, articolandosi in piccoli versi, arriva ad una conclusione da applausi. Ma prima che il sipario cali definitivamente, c'è ancora una traccia fantasma, tutta da ascoltare.


Le foto che hanno correlato queste righe sono state scattate (con un iPhone!) durante l'incontro Il suono della democrazia tenutosi al Teatro Carignano di Torino il 14 aprile 2011, per la Biennale Democrazia. Qui Giovanna Zucconi ha chiesto a Daniele Silvestri quali, secondo lui, potessero essere i collegamenti fra musica e democrazia. Lui ha fatto questo elenco:

-Le Mantellate - Gabriella Ferri (qui in una cover di Claudio Villa)
Queste ultime due però, ha ammesso di averle messe non perché c'entrassero particolarmente con la democrazia, ma solo perché gli andava di ascoltarle.
Sì, Daniele Silvestri ci era mancato.

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