sabato 14 maggio 2011

You don't know Jack - Il dottor morte

La storia del dottor Jack Kevorkian è una di quelle che non si dimenticano. Una di quelle volte in cui leggendo Wikipedia si ha la sensazione di trovarsi di fronte alla trama di un romanzo, e ci si chiede se sia vera, e soprattutto perché non si sia mai sentito parlare di una vicenda di tale portata. In breve, è materia d'oro per il cinema.
Non a caso nel 2010 ne è stato tratto un film TV prodotto dalla HBO, mandato in onda il 24 aprile. Non sarà proprio cinema, ma quando a dirigere viene chiamato Barry Levinson, e nel cast figurano Al Pacino, John Goodman, Susan Sarandon, Brenda Vaccaro e Danny Houston, ci siamo molto vicini. Anzi, nei 134 minuti in cui il personaggio del dottor Kevorkian si insinua nelle nostre vite, c'è molto più cinema che in innumerevoli altre produzioni hollywoodiane di questi tempi.
Ora, se io avessi dovuto raccontare questa storia, l'avrei sicuramente intitolata con il soprannome guadagnatosi da Kevorkian negli anni, tanto curioso quanto implacabile, e assolutamente ad effetto: Il dottor morte. Scelta sposata dalla distribuzione italiana (tra l'altro, grande parentesi, piuttosto vergognosa. La pellicola si è vista nel nostro paese quasi un anno dopo, il 22 marzo 2011, e soltanto a pagamento, su Sky Cinema) che ha affiancato tale sottotitolo a quello ufficiale: You don't know Jack.
Devo dire che in realtà, anche se meno attraente, il titolo originale americano ha una sua grande utilità, nonché una maggiore responsabilità. La stupenda sceneggiatura di Adam Mazer infatti, che gli è valsa un Emmy Award, non si articola in un ritratto romanzato della figura di Kevorkian per smuovere emozioni elementari, non si costruisce su scene d'impatto, e di grandi trasporti etici. Prima di tutto è didattica, concreta, illustrativa. Barry Levinson lavora con il ritmo, incasellando una scena dopo l'altra con semplicità e metodo. Realizza qualcosa fra il documentario e il film europeo, calato però in una realtà profondamente americana.
Certo, per gran parte del tempo gli basta inquadrare Al Pacino, stando ben attento a non perdere nulla. Chi mi conosce sa come io la pensi su colui che per me è il più grande attore vivente, quindi forse il mio giudizio potrebbe essere di parte. Ma l'Emmy Award da lui vinto come miglior attore protagonista (il secondo conquistato dal film, sulle 15 candidature complessive), nonché uno Screen Actors Guild Award, e un Satellite Award, danno bene l'idea di quanto questa sua interpretazione sia piaciuta. Invecchiando (anche se non poi così tanto) il proprio corpo ed i propri gesti, Pacino si è ancora una volta calato completamente nella parte, diventando uno straordinario Jack Kevorkian. Il suo istrionismo gli ha permesso di rendere palpabile gli innumerevoli tratti che la sceneggiatura di Mazer ha così ben cesellato. Jack subisce, si rialza, porta avanti la sua lotta, perde, quasi tutto, si rialza ancora, con la sua impacciata umiltà, semina atti, parole di buonenso, lotta in tribunale, contro i mulini a vento che disperdono nell'aria le sue fatiche. Sino ad un finale crepuscolare, dove le parole vengono a mancare, dove persino lui rimane senza saper cosa dire di fronte ad un tale modello di società. Dopo il (doveroso, lo fa in ogni suo film) monologo da brividi, Pacino esprime tutto quello che vorrebbe con un silenzio dolorosissimo, che Levinson ha la capacità e l'intelligenza di proporre con spietato distacco.
Per il resto, la sua regia barocca movimenta la serie di dialoghi in cui è articolata la narrazione, rendendola dinamica, moderna, incalzante. Alterna toni da commedia a quelli più drammatici, momenti di profonda introspezione alla veridicità storica. Propone, nasconde, lascia intravedere, tutti gli aspetti della personalità di Kevorkian, che è anche un abile pittore ed un musicista. Affresca una figura complessa, incomprensibile del tutto, perennemente in bilico fra il fuoco e il fuori fuoco con il quale Levinson si approccia al confine con la vita. Sono temi, quelli del passaggio fra vita e morte, e delle vette di un dolore insopportabile, che in questo film rimangono ad una certa distanza. Subentra uno sguardo oggettivo sulle famiglie, sulle vittime delle malattie che spingono Pacino/Kevorkian ad offrire loro un suicidio assistito. Subentra un rispetto, il riconoscimento della libertà individuale, per la quale il dottore insiste a battersi. Al di là di suicidi, eutanasie e convinzioni religiose: l'estrema libertà di scelta sul proprio destino.
Non importa la fama di Dottor Morte, non importa quello che si pensa di sapere, o di aver sentito su di lui. You don't know Jack, non conoscete Jack, e alla fine di questo film, dopo l'ultima delle stupende inquadrature curate da Eigil Bryld, montate da Aaron Yanes, e musicate da Marcelo Zarvos... lo conoscerete. E non lo dimenticherete.



Dato che non esiste il DVD di questo film, e dato che Jack Kevorkian è stato un grande esempio del fatto che, quando una cosa è sbagliata, è giusto infrangerla, diciamo che qui potreste trovare una cosa interessante in italiano, e qui e qui in lingua originale sottotitolata.
Io sono un grande fan di Giannini nelle vesti di doppiatore, soprattutto di Al, ma in questo caso è un peccato non approfittarne.

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