mercoledì 19 ottobre 2011

Tinker Taylor Solider Spy - anteprima



Tinker, Tailor,
Soldier, Sailor,
Rich Man, Poor Man,
Beggar Man, Thief.

John le Carré si era ispirato a questa filastrocca inglese per il titolo del suo romanzo del 1974. Per noi invece è sempre stato La Talpa.
Il libro ha goduto di un adattamento televisivo a puntate nel 1979, dove il protagonista George Smiley era interpretato dall'indimenticato Sir Alec Guinness, mentre questo, del 2011, è il primo adattamento cinematografico.
Bene, detto questo dobbiamo parlare della trama, giusto?
Ecco allora sappiate che all'interno del Circus, il più alto livello d'intelligence del MI6, pare esserci una talpa infiltrata dai russi.
L'incarico di trovarla viene affidato all'agente Smiley, il quale, proprio poco tempo prima, era stato allontanato dalle alte sfere, insieme con il suo superiore Control (John Hurt, ovvero l'uomo più straordinario del mondo), in seguito all'uccisione di uno dei loro uomini in missione. Il mite anti-eroe di Le Carré viene allora richiamato dalla pensione e fornito di un paio di collaboratori per portare avanti la sua pericolosa e segretissima indagine, a pochi giorni, peraltro, dalla morte del caro Control.
Basta, non aggiungo altro, 'che se lo faccio sarebbe un delitto, perché questo film gode di una maestria narrativa a dir poco sublime. Innanzitutto il progetto era inizialmente fra le sapienti mani di Peter Morgan, sceneggiatore a cui si vuole sempre un gran bene, poi lui ha dovuto defilarsi, mantenendo però il ruolo di produttore esecutivo, e lo script è stato affidato a Peter Straughan (Il Debito, L'uomo che fissa le capre) e la sua socia Bridget O' Connor. Che sono stati BRAVI! Un adattamento pazzesco, una sceneggiatura che la piazzi sul leggio e applaudi annuendo col capo. Bellissima.
Bona la cucina svedese!
Poi quei bravi figlioli di Studio Canal e della Working Title (Tim Bevan ed Eric Fellner, vi voglio bene) l'hanno prodotto sborsando 30 milioni di dollari, e la cosa magica è stata che la regia l'hanno affidata a Tomas Alfredson, che non era poi una cosa così scontata.
Cioè, lui è uno svedese che ha fatto tanta TV (però la TV svedese... dai, vabbè...) e che stava nella compagnia di commedianti Killinggänget (certo che lo so pronunciare, devo solo ubriacarmi), ok, è figlio di un regista, Hasse Alfredson, e fratello di un regista, Daniel Alfredson, ma non gli avrebbero dato in mano questa roba qui se non avesse fatto quella meraviglia di Lasciami Entrare (da poco remakerizzato dagli 'merigani con il titolo Blood Story, per la serie: guardatelo tu con i sottotitoli, io lo rigiro da capo).
E io qui mi sento di scoprire l'acqua calda e dire che questo è veramente uno dei più grandi registi in circolazione. Cioè, guardatelo, dietro quegli occhiali si nasconde uno del quale fino a poco tempo fa non consideravamo l'esistenza, e lui ti gira questo film (La Talpa, che esce a gennaio in Italia) che è una delle più convincenti pellicole di spionaggio mai viste, con uno stile da maestro, un rigore da veterano. Sembra un film di Altman, basta, ho detto tutto.
Cacchio! La talpa era Gianni Sperti!
A parte i grandi meriti che ha l'intero cast britannico, fra cui spiccano a mio parere il tormentato Tom Hardy (spicca sempre lui, un grande: Sam Rockwell nel corpo di Sylvester Stallone) e il granitico Benedict Cumberbatch (lo Sherlock televisivo, nonché uomo più bello del mondo, no? Ditemi donne...) ciò che rende grande il film è assolutamente la regia. Innanzitutto nella direzione di questi attori (ho dimenticato Mark Strong, la sua scena con la civetta che entra dal camino è folle almeno quanto il suo personaggio), rispettosa, delicata. Alfredson non è uno di quegli autori tronfi che schiacciano tutto e tutti, la cinepresa danza fra i volti raccolti nella stanza delle riunioni del Circus, coglie le più piccole sfumature, senza invadere mai, senza rubare la scena. Poi il lavoro che fa con Gary Oldman è veramente sensazionale, sembra che la storia gli interessasse fino a un certo punto, e che abbia visto nel suo personaggio il motivo per dirigerla. Lo studia, lo accompagna, gli ruba le parole dagli occhi senza che debba dirle. Lui sa che a noi di questa talpa può interessare fino a un certo punto, ma è a George Smiley, ai suoi tormenti silenziosi, i suoi più taciti segreti, che ci appassioneremo. Delicato e potente.
Alfredson è esattamente quel regista solido e non barocco che dà ancora un senso al linguaggio cinematografico, senza perdere un briciolo di modernità nel rispettarlo. Crede nel montaggio, lo usa per dare ritmo, per costruire la suspense, per farci un finale esaltante. Ma crede anche profondamente nell'inquadratura, in maniera espressiva, dando il giusto peso e la giusta impressione. Finalmente, usa a proposito il primo piano. Ce n'è solo uno di Smiley/Oldman, al punto giusto, te lo ricordi, ha senso, ti colpisce dritto in faccia. Oldman scompare, tu non sei più in una sala, stai guardando George Smiley e sei negli anni '70. Stupendo.
E poi lui sa quando il carico è troppo, ti stai per annoiare, e parte con la parentesi di Ricki Tarr e la sua travolgente avventura amorosa in Russia. Oppure con la storia parallela dell'agente divenuto professore, o ancora con quegli imprevedibili flashback durante la festa al Circus, quando c'erano tutti e si stava bene insieme, e invece lentamente emergono già lì le cose più oscure. Quel finale in cui Gary Oldman alza la voce per la prima, unica e ultima volta, e mostra i suoi sentimenti, lì e in quell'altra fugace inquadratura in cui la sua mano stritola un mancorrente per amore. Solo l'amore lo scuote, tutto il resto, la talpa, il pericolo, la filastrocca per bambini, non lo smuove. Solo l'amore conta in tutto quel grigio fumoso e desolato, ed è così per tutti, nessuno escluso. Soprattutto Alfredson.
Capolavoro.

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