domenica 25 settembre 2011

Carnage

Un film piccolo piccolo di cui si potrebbe parlare ore. Tratto dal testo teatrale di Yasmina Reza (si lo sappiamo - scusate, dovevo dirlo) parla del confronto fra due coppie di genitori che discutono a proposito di uno screzio che ha coinvolto i loro figlioli, ed è ambientato in casa di una delle due famiglie.
Sì ma dove andate? Ascoltatemi, che poi non lo sapete, entrate, vi annoiate, e uscite a metà rompendo i coglioni. Sì che lo fate, vi ho visti io.
È un film tutto dialogato ok? Un'esperienza di teatro filmato, teoricamente, ma non praticamente.
Io me lo immagino, Roman, che va a vedersi lo spettacolo e rimane folgorato, dai temi, dai ricordi, dalle possibilità che offre.
I ricordi sono quelli legati alla cinematografia del suo (e di noi tutti) maestro Hitchcock, nell'ennesimo omaggio dopo Frantic e il precedente L'uomo nell'ombra. Qui a venire in mente è Nodo alla gola, con i suoi personaggi rinchiusi in casa, con un cadavere da tenere nascosto, con le apparenze da salvare.
I temi, beh, sono tutti. La forza del testo sta appunto nel saper evadere dalla dimensione privata per farsi più complesso e generale, cavalcando dialoghi perfetti ed interpretazioni magistrali. I personaggi sono reali e concreti, ma sono anche simboli, ognuno di un profilo di uomini e donne che abitano il mondo. Il cinico avvocato attaccato al telefono, l'idealista attivista politica interessata all'arte (che fin dall'inizio non hanno infatti feeling), il tipico americano medio che finge di essere di più, e la donna in carriera attraente ma frustrata dall'inevitabile solitudine. Una lotta di classe fra middle e upper, un ritratto di due matrimoni in disfacimento, un confronto ideologico sulla società, e all'orizzonte temi assoluti come la vera natura delle persone, l'identità, verità e finzione nei rapporti, la psicologia, l'istinto selvaggio pronto ad emergere alla prima occasione. Basta un gesto, una parola, a far esplodere IL DIO DEL MASSACRO sepolto in ognuno di noi.
E come avrebbe potuto, Polanski, non vedere in queste persone prigioniere di una casa, prigioniere di uno sfogo, un ritratto allo specchio della sua condizione di regista in cattività, costretto a ricreare New York nel cuore dell'Europa, per non finire anche lui vittima (giusta o sbagliata) della sete di violenza del mondo...
Ciao Jodie, siamo su Skipe
Cinematograficamente parlando poi, il testo offriva l'occasione di esercitare veramente quella che è l'arte registica. Entrare in una rappresentazione teatrale per amplificarne i dettagli, per scandirla al ritmo di un montaggio frenetico, per frapporsi fra l'occhio e l'attore con precisi cambi di fuoco e inquadrature espressive, per inserirsi come generatore emozionale più che spettatore onniscente. Nel film è palpabile la presenza di Polanski, che sceglie quattro attori formidabili e li butta allo sbaraglio in un ambiente finemente controllato. Ogni cosa nell'appartamento dei Longstreet è delineato al dettaglio, così come i costumi di Milena Canonero sono fondamentali nella costruzione della psicologia. Michael ammette di essere stato costretto dalla moglie a vestirsi da intellettuale, ma tradisce fin dall'inizio la sua condizione con un paio di grossolane scarpe da ginnastica. L'equilibrio formale in cui la prima parte si regge, scompare con la simbolica (e spassosa) scena del vomito. Da lì in poi una barriera si abbatte, ed è solo la prima di tante. Il nervoso che pulsava sotterraneo fuoriuscirà a fiotti, insieme a rivelazioni e confessioni. Si formano e si disfano alleanze, alla fine è un tutti contro tutti dimostrato anche e soprattutto dalla posizione dei corpi, in una danza di fughe e spalle date al nemico.
A differenza di Hitch, Polanski vive nel nuovo millennio, e per raccontare una storia del genere la parola d'ordine dev'essere dinamismo. Così costruisce la sua opera con un'impressionante serie di stacchi e cambi di piano e prospettiva, avvalendosi di una raffinata fotografia naturalistica, in evoluzione verso il crepuscolo. Va in scena la rabbia, l'introversione degli adulti, la loro comica pretesa di essere determinanti. Ma tutte le loro parole saranno inutili, il mondo più semplice e immediato dei bambini rimetterà a posto le cose naturalmente, nelle due parentesi mute che offrono il commento ultimo del regista a questo massacro che ci circonda.

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