"Futuro", "Avvenire", "Il mondo di là" sono i termini che escono cercando questa parola. Sebbene sia risaputo che l'ultimo film di Clint Eastwood parli dell'aldilà, io trovo che tutti e tre si sposino bene con l'opera che si fregia di questa (bruttarella) locandina. Dico subito che lo trovo un buon film, bello sarebbe il giudizio da bar, riuscito quello un po' più fine. Ammiro sempre e soprattutto, nel cinema di Clint, l'essere ramingo nei vari territori sconfinati di tutti i generi. Come Howard Hawks, che poteva dirigere James Cagney così come delle marionette, anche il più classico dei registi oggi in circolazione ama variare il tema, passando dal film sportivo a quello di guerra, dal biografico al poliziesco, dalla fantascienza al thriller, mantenendo fissa soltanto l'acutezza e la delicatezza del suo sguardo. Questo gli ha dato un'esperienza unica, e la capacità di raccontare qualsiasi cosa senza trovare difficoltà. È divenuto anche molto più pessimista e drammatico negli ultimi anni Clint, abbandonando quasi del tutto i toni da commedia in cui pur si era avventurato negli scatenati anni di gioventù (registica). È diventato oscuro come i tagli d'ombra di Tom Stern, che prima in veste di elettricista, poi di operatore, e infine di direttore della fotografia (succedendo a Bruce Surtees e Jack N. Green, che ha fatto il suo stesso percorso) è il più vecchio compagno di viaggio che abbia sul set. Le decadi passano, ne è appena terminata una, e sebbene non sembri intaccare la vitalità e la produttività di Eastwood, il tempo passa anche per lui, che giunto ad un certo punto sembra volersi dedicare non solo al passato, della guerra, della società e della sua icona; ma anche al futuro, a ciò che lo aspetta, ciò che aspetta tutti noi.
Un film spirituale insomma, metafisico, e Clint può tirare un'altra linea sulle cose da fare. Non ne restano molte. Anche considerando che si ostina a voler curare pure le musiche, generando così un effetto di già sentito ogni volta che parte la colonna sonora, che si ripete con minime variazioni sin da Million Dollar Baby.
Ha però la grande intelligenza di affidarsi sempre a dei validi sceneggiatori, e se con il sopravvalutato Paul Haggis ed il grande Brian Helgeland gli è andata bene, mentre con Nick Shenck a mio avviso è andata malissimo, questa volta è andato sul sicuro reclutando Peter Morgan, uno dei migliori sul mercato. Lo scrittore de L'ultimo Re di Scozia, nonché di tutti quei film dove compare Michael Sheen nelle vesti di Tony Blair, ambienta una delle tre storie nella sua Londra, l'altra a Parigi e l'altra a San Francisco. Intreccia i destini di un ragazzino che ha perso l'amato fratello, un sensitivo che soffre per via del suo dono, e una giornalista che in seguito ad uno tsunami è morta per qualche istante prima di tornare in vita. Sono storie ben scritte che continuano ma non evolvono, perché in realtà non possono portare da nessuna parte. Come tutti i bravi drammaturghi Morgan ci gioca attorno, ma alla fine la domanda "Che cosa c'è nell'aldilà? Che cosa avviene dopo la morte?" non trova risposta. E del resto come potrebbe? Nell'ultima scena il sensitivo George (Matt Damon, bravo come sempre) smette di vedere i fantasmi e comincia a vedere il futuro, quello prossimo, che lo riguarda. Il suo personale avvenire, l'unica cosa che dovrebbe interessargli. Godiamocela finché si può.
Clint Eastwood e Tom Stern |
Eastwood porta a casa un film rispettoso ed equilibrato, in cui spiccano un'attrice bravissima: Cécile de France, e l'incredibile scena iniziale della catastrofe naturale. Un pezzo di cinema catastrofico in cui Clint si inserisce da novellino ed in cui subito primeggia. Si dimostra tra l'altro coraggioso, usando largamente gli effetti speciali come aveva osato solo in Space Cowboys, e uscendo dai consueti confini americani per ambientare gran parte della storia in Europa, e non solo, facendo di fatto fruire un terzo del film in lingua francese sottotitolata. Ormai non dovremmo più stupirci, eppure io continuo a farlo di fronte a quest'ex straniero senza nome, quest'antico pezzo di granito del cinema americano, che più invecchia più diventa delicato e romantico.
Abbiamo appena parlato di lui nel precedente articolo ed eccolo di nuovo qui, sempre protagonista, sempre in positivo, in questi che sono indubbiamente stati anche e soprattutto i suoi anni.
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