sabato 14 gennaio 2012

Morire di venerdì 13

Caro Jack,
stamane non mi andava più di tanto di alzarmi. Sai, io non so come facciano i becchini, ma l'idea di doverti seppellire non mi allettava più di tanto. E vorrei invitare chiunque abbia voglia di lamentarsi per l'eccessivo studio, la riga sulla portiera della macchina, la risposta poco educata del partner, il fatto che quella bella sciarpa di cachemire costi troppo, e in generale chiunque ritenga queste sciocchezze dei veri problemi, a lamentarsene dopo aver provato a seppellire il proprio cane. Inteso come scavare una buca abbastanza profonda, prendere il proprio amato animale domestico in braccio, indurito dal rigor mortis e maleodorante, adagiarlo nel freddo terreno, e ributtarvi sopra, una palata dopo l'altra, tutta quella terra che lentamente lo ricopre, strappandolo alla vista. Per poche cose nella vita vale la pena piangere, e la morte è una di queste. Il resto sono parole al vento.

Sia ben chiaro, io e te ci siamo coccolati, siamo andati a spasso insieme, abbiamo anche litigato (poco, e mai davvero), ma ci siamo sempre trattati con rispetto. È di questo che un cane ha bisogno, prima di tutto. Rispetto e biscottini a forma di osso.
Comunque sia, te ne sei andato in una giornata proprio stronza. Crolli delle borse, gente che incidenta la macchina in manovra, scioperi, casini, Bossi, la più grande nave da crociera della storia mai coinvolta in una catastrofe. Mi verrebbe da sospettare che te ne sei andato per scappare. Invece, buono com'eri, a te sarebbe piaciuto restare qui ancora un po'. Ma del resto la paralisi, dopo le gambe, ti stava attaccando il cuore (grande). Nonostante venissi portato a fare i tuoi bisogni issato sulla carriola, le tue zampe erano ormai quasi completamente spelate. E mentre prima divoravi la ciotola col miglior appetito, adesso dovevi rifletterci un po' su, morendoci sopra. Si sta male, lo immagino. Specialmente quando prima eri uno che saltava da tutte le parti e non stava mai fermo, nemmeno nel bagagliaio, dove miagolavi ininterrottamente in ogni viaggio, rompendo il cazzo. Ah, bei tempi...



Perlomeno sei morto dolcemente, addormentandoti piano, fra lenti respiri. E poi nel sonno hai fluttuato, naufragando in tutto quel nero, fino a perderti. Un istante prima eri con noi, come noi, vivo, un istante dopo eri lontano, irraggiungibile. Ma almeno adesso tu sai cosa c'è là, cosa succede dopo. Per uno curioso come me, è già un motivo d'invidia.
Caro amico te lo confesso, rivederti lì, con gli occhi chiusi, fa molto male. Fa sempre male. Sei così immobile... tu che eri solito dormire con le zampe piegate a virgola, come un aristocratico. Bellissimo.

Ma la tua vita l'hai vissuta, dico bene? Non stupenda magari, certo, non sei stato il commissario Rex, ma meglio di tante altre, no? Senza contare che ciò che importa, come al solito, in questi casi, è quel che ci lasciamo dietro. Ecco, io ho dei rimpianti, vorrei averti fatto più fotografie per avere più ricordi, vorrei esserti stato più vicino, per tutta la vita, ma specialmente mentre soffrivi. Soprattutto mentre morivi.
Però devo dire che qualche bel ricordo ce l'abbiamo. Come il primo, vivido come fosse ieri, (e difatti per me sei rimasto sempre un cucciolo). Quando la signora, la tua padrona, stava male (quella che ha scelto il tuo nome yankee), e noi siamo venuti a prenderti perché non finissi chissà dove. Dopo qualche metro in macchina cominciammo a sentire una puzza terrificante. Ci fermammo e io, per primo, ti portai a passeggiare, e facesti una tale quantità di µ€®∂å che credo sia ancora là adesso. Ti piaceva venire a spasso con me, perché facevamo i giri più larghi, sperduti nella nostra bella zona industriale silenziosa. Già, piaceva anche a me.
Oppure ecco che riemerge il ricordo di quando avevo deciso di lanciarti un bastoncino sferrandogli un calcio, ma tu sei balzato in avanti e te lo sei preso sul naso. Che botta ragazzi. Oppure quando prendevo i ricci delle castagne attentamente, con due dita, per darteli, e tu, che ti fidavi di me, credevi fossero buoni da mangiare e li prendevi, e io ridevo mentre tu ci rimanevi fregato, con la lingua dolorante. Oppure ancora quando venivi a scroccare il cibo a tavola con gli occhi tristi. Quando volevi attirare l'attenzione, ti avvicinavi e agitavi la zampa come una persona.
Questo l'avevi fatto anche con Wolf, appena arrivato, ma lui ti assaliva sempre tentando di ucciderti. Te lo ricordi, vero, Wolf? Chissà se lo rincontrerai. Chissà se ti ricorderai di me. Chissà se giocherai a poker con gli altri cani. Chissà se ci rivedremo mai per giocare ancora un po' insieme, fregandocene del fatto che saremo entrambi troppo vecchi.
Un tempo, tu e Wolf eravate amici. Prima di diventarlo ci avete messo un po', lui non ti accettava come nuovo incomodo, ti mordeva anche quando volevi stargli vicino. Dopo quella fase, ti accettò semplicemente con freddezza, ma ogni tanto bisognava separarvi perché vi azzannavate feroci, ed è stato necessario rappezzarvi un bel po' di volte dopo le sanguinose battaglie. Ma alla fine siete diventati amici, io lo so. Correvate insieme nel campo dietro al bastone, odiavate il prossimo allo stesso modo, giocavate e dormivate insieme, e vi facevate caldo e compagnia di notte. Del resto eri un coccolone, e appena uno cominciava ad accarezzarti, ti giravi con la pancia all'insù e i complimenti non ti bastavano mai. Eri un cane semplice in fondo, chiedevi un po' d'amore per darne tanto.
Semplice e buono, come il tuo musetto sempre felice di vedermi.
, abbiamo tanti bei ricordi.
E mi mancherai, caro Jack, più di quanto mi mancheranno mai certe persone. Perché noi eravamo amici, e se c'è stata qualche mancanza, è solo da parte mia. Perché noi abbiamo passato un bel pezzo di vita insieme, anni che non si riavvolgono, e non torneranno. Come te, che non tornerai.
Qual è il legame che lega un cane al suo padrone? Come si chiama quel sentimento grande e segreto? Tentare di rispondere potrebbe essere un grave errore.
Intanto la terra ti ricopre poco alla volta e tu scompari. Cucciolo, adulto e (quasi) vecchio,  altra terra e tu scompari ancora un po'. La coda, le zampe, il musetto nero, le lunghe orecchie da asino, gli occhi serrati, e altra terra. Le mosche, i vermi, e altra, altra terra. Alla fine torniamo sempre alla terra, nei boschi, fra gli alberi, nell'umidità del mattino. Ma allora esistiamo o non siamo mai esistiti?
Per l'universo no, praticamente no, lui ci ignora. Ma per me sì. Per me non scompari, per me non sei svanito, per me rimani. E proverò a fare in modo che tu mi accompagni ancora un po', finché sarà possibile. Finché la mia fragile umanità mi permetterà di farlo.
Mi raccomando però, stavolta non tirare come al solito.

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