domenica 1 aprile 2012

Romanzo di una strage


Ora: uno dice Ah Sorrentino, Ah Garrone, Ah Ozpetlkekekeke Ozpetek, Ah Molaioli, Ah... boh. E poi si dimentica di un regista che gira film dagli anni '80, tutti di buona fattura quando non ottima, e che, se non altro, è uno degli autori più di spessore che abbiamo.
No. Non perché c'ha la panza! ma nel senso di solidità. Solidità: un valore che si è perduto in molta dell'arte di oggi.
Giordana ha il culto, il credo della grande storia da mettere in scena. Quella cosa che nel cinema americano è così comune mentre da noi è scomparsa. Quella cosa per cui se fosse uno scrittore, Giordana scriverebbe il grande romanzo italiano. Mentre invece è regista, e ti gira il grande film italiano. Che, però, ha la forma e l'odore di carta ingiallita di un romanzo. E arriviamo a Romanzo di una strage, che è per l'appunto un romanzo/film che romanza eventi che fanno parte della grande storia italiana.
Alt. Con ordine.
Prendiamoci un momento per conoscere i protagonisti:
Il mistero che li unisce viene analizzato in Il Segreto di Piazza Fontana di Paolo Chiucchiarelli, che viene a sua volta analizzato da Stefano Rulli e Sandro Petraglia, che, è vero che in Italia non abbiamo più uno straccio di sceneggiatore degno di questo nome, ma se ne abbiamo due, sono proprio questi. C'è il link di Wikipedia apposta per fare un'applauso a chi è stato fra i pochi, in questi anni, a permettere al cinema italiano di non naufragare in un mare di cinepanettoni alla merda.
Mi sento di dire soltanto un altro nome per farvi capire di che cast tecnico stiamo parlando: Franco Piersanti. Va bene? Intesi?
Ok, citiamo anche il cast artistico, che so che siete in fregola. Ci sono i maestosi Mastandrea e Favino, il fedele (a Giordana) Lo Cascio, Gifuni, Tirabassi, Colangeli, e poi standing ovation per i leggendari doppiatori Omero Antonutti e Gianni Musy (morto, tra l'altro, lo scorso ottobre).

Ora: una strana recensione.
Il film tratta una materia delicata e complicata, tanto che i suoi autori scelgono di raccontarla nel modo più lineare possibile. Io, da bisognoso di una regia che ami prima di tutto il paesaggio, ho sentito parecchio la mancanza di atmosfera, ma è probabile che a molti di voi questa cosa non faccia più di tanto effetto. Insomma, l'elementarità di campi e controcampi (elementarità un cazzo, provate a montarne un paio e ne riparliamo) è anche la sua forza.
Film corale il cui cerchio ha come inizio e fine la figura di Luigi Calabresi, innalzato a personaggio scespiriano, protagonista di un'indagine che si trasforma in una strage morale, ben più straziante di quella più famosa e violenta. L'oscurità dilaga nel male di cui è macchiata la tenebrosa fotografia. Pinelli, uomo saggio, improvvisamente si suicida. O viene suicidiato. Un termine coniato e archiviato per il solo caso Pinelli.
Io che mi ricordo il suo nome nei bagni dell'università, omaggiato dalla nuova generazione di anarchici, per il quale, un uomo comune, è diventato il feticcio di Guy Fawkes che indossa V per la sua Vendetta. Un thriller senza brivido, sostituito dallo sgomento e dall'incredulità, per la forza delle rivelazioni che vengono sbattute con freddezza addosso allo spettatore. Siamo un po' anche noi vittime di quel 12 dicembre.
E non è fare polemica, ma politica. La narrazione procede compatta come un'auto schiacciata in un cubo dal demolitore. Giorgio Tirabassi fa splendidamente un cattivo da 007, è ancora cinema italiano questo? Da dove arriva questo coraggio? Non è il Fellini del Divo di Sorrentino. Non è l'universalità del potere di Petri e Volonté.
È cronaca spietata e agghiacciante di un paese lacerato dalle ideologie e che non funziona più, se non per la spinta di qualche Luigi Lo Cascio che arriva da Marte ed ama e crede nella Giustizia. È ancora quel pulcino bagnato che chiamiamo Cinema Italiano degli ultimi vent'anni questo? Forse, chissà, è grande cinema europeo. Cinema Sociale. Con un'audio in presa diretta registrato da Dio. Montaggio serrato. Movimenti di macchina SOLIDI, che non gridano: SONO UN AUTORE. Emozioni strozzate in gola, finalmente l'importanza e la grazia di un FILM NECESSARIO. Un finale bellissimo e struggente. Dei lunghi titoli di coda pieni di nomi, in cui prendersi un po' di tempo per recuperare la propria dignità e trascinarla fuori dalla sala. Perché sembra che soltanto al Cinema ormai, le cose possano assumere un senso.

Ora: se digitate il titolo del film su google, verrete investiti da tutta una serie di articoli o video che lo esaltano, lo stigmatizzano, lo denigrano, lo tralasciano per sfogarsi sull'ultimo Vanzina e via discorrendo. Noterete come tutti, nessuno escluso, abbia saputo/voluto/potuto trattenersi alla materia filmica, per allargarsi anche all'interno della Storia vera e propria (io, da ignorante, non mi ci metto neanche, e come vedete, il commento politico l'ho lasciato alle immagini). E questo è bene. Questo, sospetto, era proprio l'intento di Giordana e dei produttori (Rai e Cattleya). Parlarne. Parlare.
Raccontare quella storia e rifletterci sopra. Riportarla sotto i riflettori. Mostrarne luci e ombre, provando a gettare un timido raggio  nelle zone d'ombra più marcate. L'importante era farlo, questo film, prima di tutto. Per avere un documento, una prova dell'esistenza di quegli anni così tormentati che in molti hanno cercato di dimenticare, mentre fondamentale è proprio ricordare, riportare sotto gli occhi di tutti che cosa questo paese può fare alle persone.
Perché non ci sono colpevoli della strage di Piazza Fontana, soltanto vittime.

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