sabato 18 febbraio 2012

Un giorno questo dolore ti sarà utile

Roberto Faenza andava a scuola con Gustavo Zagrebelsky (il che è già notevole, quanti dei vostri compagni di scuola hanno una pagina su Wikipedia?), e stando a quanto ha confessato, prendeva voti nettamente più bassi di lui.
Roberto Faenza è anche un grande estimatore de Il Giovane Holden (l'ha detto sempre lui) e da tempo avrebbe voluto farne una trasposizione cinematografica, ma pare che Salinger non abbia mai voluto e si sia sempre opposto, per via di alcune incomprensioni nate con il mondo di Hollywood, tanto che un tizio disse  "L'unica persona ad aver potuto interpretare Holden Caulfield è stato J. D. Salinger." Tié!
Roberto Faenza allora si è messo a fare altri film (per la maggior parte mica tanto belli, va detto) fra cui anche produzioni in altri paesi, come Copkiller (in America, 1983, con Harvey Keitel) e Jona che visse nella balena (in Francia, 1993, con musiche di Morricone). Ha persino avuto a che fare con Mastroianni e con Berlusconi, oltre che con Zagrebelsky, appunto.
Mentre, nel frattempo, uno scrittore di nome Peter Cameron scriveva i suoi libri, fino a partorire Quella sera dorata (pubblicato da Adelphi) che ha fatto innamorare gran parte del pubblico italiano. Un pubblico (e un editore) che è stato più ricettivo nei suoi confronti, tanto che il romanzo successivo: Un giorno questo dolore ti sarà utile, è stato pubblicato prima qui che negli Stati Uniti. Ciò ha permesso di opzionarlo e comprarne i diritti in anticipo, e anche se dopo la pubblicazione americana c'è stato un boom di richieste da parte delle case di produzione, con addirittura la proposta di ricomprare i suddetti diritti a peso d'oro, la produzione non ha ceduto e non li ha venduti. Cosa che ad esempio io avrei fatto subito, e ciao.
Roberto Faenza, quindi, con in mano finalmente Il giovane Holden di questi tempi, è ripartito per New York a distanza di quasi trent'anni dalla prima volta. Ma sarà stato un bene che un regista così modesto ed estraneo alla società americana (ma soprattutto così modesto) si sia messo a fare qualcosa attorno alla quale Hollywood avrebbe sicuramente costruito un castello? Scopriamolo insieme!

Roberto Faenza, innanzitutto, non è un autore (anche se poi uscirà sicuramente il libro di un tizio che, facendo le pulci a tutte le scelte inconsapevoli di cui è tappezzata la sua carriera, spergiurerà che si tratta di un raffinato autore). Guardalo lì com'è ordinario, in mezzo ai figoni americani (e a Elisa, vabbé), con le scarpe da ginnastica e il giubottino.
C'è da dire però, che i pareri contrastanti sul testo di partenza, indicano che nemmeno quello fosse particolarmente un capolavoro. Dato di fatto che lo avrebbe probabilmente fatto finire non in mano ad un autore yankee, ma ad uno di quei nuovi esagitati registi cresciuti a pane e Michael Bay. Perciò, fra mestierante americano e mestierante italiano (con 40 anni di esperienza), io dò il cinque altissimo a Faenza, che siamo pure della stessa città.

-TRAMA-
Alla buon'ora, penserete. Lo so.
James è un ragazzo newyorkese che ha appena terminato il liceo, e vagliando o meno l'ipotesi di andare all'università, trascorre l'estate lavorando nella Galleria d'arte moderna di sua madre. Una madre svampita, confusa, al terzo matrimonio, sbevazzona, con cui non si riesce a parlare, ma in fondo simpatica. La donna è reduce da una luna di miele lampo, finita male con il suo nuovo marito Barry, che essendo un giocatore d'azzardo compulsivo le ha combinato un sacco di guai, incasinandole ancora di più la vita. In casa James ha anche una sorella, Gillian, che frequenta un teologo del linguaggio polacco di trent'anni più vecchio di lei, sposato e padre.
Ma James ha anche un padre, Paul, che ha un lavoro importante, guida un'auto sportiva, fa il piacione con donne più giovani di lui, e si sottopone ad interventi chirurgici per non invecchiare. Abbiamo finito? No. C'è ancora nonna Nanette, ricca vedova di mentalità apertissima, comprensiva e buona, l'unica che ascolta James e con cui lui riesce ad avere un rapporto. Già perché James è fondamentalmente quello che si potrebbe definire un disadattato. Anche se in realtà è soltanto un ragazzo confuso, troppo delicato e sensibile per poter affrontare il mondo per quello che è.
Uno stato di incompatibilità sociale acuito da un misterioso incidente avvenuto in gita a Washington D.C., e che sfocia in un inconsapevole scherzo di cattivo gusto perpetrato ai danni di John, il manager gay della Galleria d'arte. Ulteriore elemento che lo porterà a frequentare una life coach (LA maestra di vita, solo in America potevano inventarsela), una psicologa anticonvenzionale, che lo aiuterà a capire di più sé stesso.

Il finale è sostanzialmente un lieto tarallucci e vino, ma, sotto sotto, non tutto viene banalizzato dai sorrisi posticci che un americano avrebbe appeso.
Roberto Faenza firma un film complesso, bello soprattutto perché di fatto non ha una parola fine, non termina, e non rimane sullo schermo per poi svanire. Capita infatti di trascinarselo dietro uscendo dal cinema. Capita di non risolvere tutte le incongruenze del mondo, proprio come succede a James.
Nel pur folto cast (questi i nomi: Toby Regbo, Marcia Gay Harden, Peter Gallagher, Deborah Ann Woll, Ellen Burstyn, Lucy Liu, Stephen Lang; provate ad abbinarli ai loro ruoli nel grande gioco della prossima estate) è sempre il giovane protagonista ad essere il punto di riferimento, a guidarci nella sua personalità e contemporaneamente in quelle altrui.
Il testo è complesso, come affermavo. Per dire, all'inizio lui sta meditando se suicidarsi, ma il film è decisamente una commedia. Non era facile far convivere tutto, le cose sono tante e piuttosto alte. Faenza si trova a svolgere un complicato lavoro di equilibrio, perché calcando appena un poco di più la mano, si ritroverebbe con un disastro.

James è un adolescente atipico soltanto perché è ancora più confuso degli altri, ma questo non è essere atipici, è essere perfettamente normali (ops, ho spoilerato il film!) Forse è gay, forse no, comunque non crede nell'amore. Non vuole andare all'Università, non ama le feste o lo stare con i coetanei, preferisce la solitudine e la pace. L'unica persona con cui ha un rapporto, come detto, è sua nonna, proprio perché proveniente da un'epoca meno confusa e incalzante. Lei lo ascolta, lo appoggia, lo capisce e lo sprona, ha il suo stesso spirito libero. Ma James è di più, è un rivoluzionario silenzioso, mite, che all'arrivismo preferirebbe un lavoro da artigiano, semplice, ed una casa in disparte dove poter leggere e guardare film (due attività prettamente individuali). E Cameron e Faenza, sembrano volerci dire che questa sua aspirazione alla serenità individuale, in un luogo cinico come gli Stati Uniti (o come l'Italia, l'Europa o l'intero occidente), sia un peccato mortale che nessuno sembra disposto a perdonargli.
Insomma, l'unica cosa decente di quell'orribile locandina è la rappresentazione di un James di corsa, in fuga, perché è questo che cerca di fare il giovane depresso. Fugge dal suo cellulare, fugge dalla città per la campagna, fugge dai rapporti sociali.


Ma i problemi del film, purtroppo, cominciano ad emergere inevitabilmente nella sua analisi d'insieme. I toni di commedia e dramma convivono assai male in questa storia, che prima prova a preoccupare lo spettatore, e poi sembra dirgli di non prendere le cose troppo sul serio. Di confuso e scombinato (un po' come il Gianni Morandi presentatore) c'è anche gran parte dell'ultimo atto, dove di fatto le cose non si risolvono ma sembrano farlo, oppure no, comunque sorridiamo perché il pubblico deve andarsene sollevato.


Roberto Faenza ha rivelato che alla demenziale distribuzione italiana il titolo faceva paura per via della parola "dolore", che avrebbe tenuto alla larga gran parte dello stupido pubblico italico. E non è detto che non sia così. Però sarebbe stato criminale privare l'opera della sua componente migliore, ovvero un titolo che la riassume e la spiega meglio di qualsiasi dichiarazione. Come per tutte le grandi storie di formazione (ciao Salinger), come per la vita vera, un giorno questo dolore ci sarà utile. Non si sa in quale modo, ma è certo che lo sarà.
Per James, l'ultimissima inquadratura sta ad indicare l'utopia di essere divenuto una guida per gli altri. L'avere dimostrato di non essere sbagliato, ma puro, e che la sua sia una strada auspicabile per tutti da seguire.
Un personaggio da conoscere. Una storia da ricordare. Un film da vedere e su cui riflettere. 
Roberto Faenza, bravo. Ti meriti un buon voto, ora torna a posto e non tirare le palline di carta a Gustavo.

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