sabato 16 febbraio 2013

Zero Dark Thirty

Mezzanotte e mezzo. Se sei me, è l'ora in cui di solito, guardando la TV spaparanzato sul divano, cominci a reclinare la testa all'indietro, con gli occhi che scendono a mezz'asta, e di lì a poco inizi a ronfare della grossa con le fauci spalancate. Una bella immagine, tra l'altro.
Se sei un marines dell'esercito USA è invece generalmente l'ora in cui penetri in casa di Bin Laden o di qualche altro vecchio musulmano qualsiasi. Arrivi in elicottero, fai saltare le porte, sfondi tutto, spacchi tutto. Hai la barba bianca? Occhio che ti penetro in casa.
Ve lo ricordate il primo maggio 2011? È praticamente l'altro ieri. Io sì, mi ricordo dov'ero, quando e come sono venuto a conoscenza della notizia della morte di Bin Laden. Lo spauracchio degli anni zero. Zero Dark Thirty.
Ricordo anche che la prima cosa che tutti pensammo fu: "Sì, vabbé, come no..." È così. Diventa difficile credere alle cose del mondo oltre un certo punto. È come quella storia di Pierino che gridava sempre "al lupo al lupo!". Dopo un po' di volte in cui scopri che era falso, smetti di crederci. Per questo nel cartello iniziale la brava, bravissima, superba Kathryn Bigelow ci mette in guardia sul fatto che quanto stiamo per vedere è basato su ricostruzioni. Non è un documentario, non è un reportage. È un racconto, e fa parte del gioco.
Sostanzialmente, a farla molto breve, Zero Dark Thirty è un ottimo film di spionaggio. Sottogenere: caccia all'uomo. Anzi, è un film bellico. Sottogenere: bellico mediorientale. Sì perchè dopo l'11 settembre 2001 il Cinema e lo spionaggio sono cambiati. La spia non può più essere James Bond, con lo smoking ed il martini in mano. La nuova spia è tormentata, nevrotica, depressa. E può anche essere una donna. Le sue armi non sono pistole laser e auto volanti, ma rilevamenti satellitari e tecniche di tortura come il waterbording. La missione segreta non può più essere quella di sventare il piano di uno scienziato pazzo che vuole dominare il mondo dalla sua base in fondo al mare. La nuova missione è uccidere il terrorista. Farlo secco in casa sua, davanti ai suoi bambini, prima che colpisca ancora. Oppure, anche solo per vendetta (vedere Munich di Steven Spielberg).
Di conseguenza anche il Cinema ha visto nascere una nuova declinazione di genere artistico. Film sporchi, aridi e sabbiosi, ambientati in deserti assolati, con protagonisti dalla pelle scura, dotati di lunghe barbe e vestaglie. Opere come United 93, Green Zone, (entrambi del grande Paul Greengrass, miglior esponente della poetica della "camera a spalla"), Nessuna Verità (di Ridley Scott), World Trade Center (di Oliver Stone), Code Name: Geronimo (uscito nel 2012, ancora sulla cattura di Bin Laden) sono i nuovi film americani sulle nuove guerre e tragedie americane.
La stessa Bigelow deve il suo più grande successo (nonché il primo oscar in assoluto vinto da una donna) proprio a The Hurt Locker, illustre esponente di quella tipologia. Squadra che vince non si cambia, e richiamando in veste di sceneggiatore l'esperto giornalista Mark Boal, la Bigelow ha deciso di raccontarci a passo di carica l'odissea decennale di Maya (la bellissima e lanciatissima Jessica Chastain) agente della CIA che ha fatto della ricerca di Bin Laden lo scopo della sua vita.
Mi viene in mente un famoso film del 1954 di Douglas Sirk con Rock Hudson intitolato Magnifica Ossessione. Ecco, questa è invece una terribile ossessione. Un'insana e morbosa ossessione di vendetta. La caccia all'uomo più feroce e prolungata della storia, voluta da un intero popolo, persino da un intero pianeta, ferito nell'anima da un attentato indimenticabile. All'inizio sembrava che quella rabbia sarebbe stata un fuoco inestinguibile, invece il tempo ha ancora e come sempre lenito il dolore e placato quella determinazione. Tanto che la simbolica Maya (solo un nome per un personaggio, così come gli altri) ha dovuto lottare contro i suoi superiori per farli credere, come lei, in questa sua ossessione. Un cammino che sfocia in un grandissimo pezzo di cinema finale. L'hanno detto tutti: la mezz'ora d'incursione notturna nel palazzo segreto di Bin Laden è un vero capolavoro di regia e montaggio. Un sigillo giunto a dare un punto esclamativo ad un film che, quand'era partito, non aveva ancora una risoluzione storica. Adesso invece ce l'ha.
Bin Laden, il grande nemico nell'ombra, è morto. L'ossessione è finita. Che cosa farà ora Maya? Dove andrà adesso l'America? Ne è valsa la pena? Sono domande apertissime e ingombranti, tanto da far venire le lacrime. Perché il traguardo finale è giunto prima del previsto, ed il destino appare ancora e ancor più nebuloso, e tutto da scrivere.

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