martedì 1 febbraio 2011

Il Discorso del Re

Una recensione con la quale concordo in pieno la trovate qui, quindi è inutile che stia a farla io... Cosa faccio allora, vado via?
No... perché il fatto che questo film sia candidato a 12 premi oscar mi offre l'occasione di impostare un discorso diverso dalla solita recensione fatta di giudizi e interpretazioni. Prenderemo in analisi punto per punto le candidature, soffermandoci sul singolo aspetto, e vedrete che alla fine salterà fuori un quadro complessivo esaustivo ed esauriente. O forse no... chissà...

Miglior sonoro: Ci può stare, perché è un film largamente basato sulla parola, e ovviamente la cosa più importante è sentirla bene. Va detto che non avendolo fruito in lingua originale non ho idea di quanto sia stato efficiente il fonico di presa diretta. C'è da considerare però che solitamente candidature di questo tipo spettano a film dove il sonoro ha un più alto coefficiente di difficoltà, come i grandi Colossal, pieni di scene rumorose, battaglie, urla, rumori di sbudellamento e così via. Sostanzialmente, per questa come per tutte le altre candidature di stampo tecnico per questo film, credo siano più frutto della consuetudine a riempire il vincitore di un numero consistente di statuette piuttosto che dell'effettivo merito. Consideriamo che 11 premi oscar li ha vinti Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re, e se anche lì c'era un monarca nel titolo, lo spettacolo visivo (e uditivo) era tutt'altro.

Alexandre Desplat
Migliori musiche: Di Alexandre Desplat (di cui abbiamo parlato in occasione di Tamara Drewe), anche qui ci può stare, e non avrei nulla in contrario. Oltre a essere collaboratore fisso di registi come Frears e Jacques Audiard (con cui ha iniziato) ultimamente ha lavorato con Polanski per L'uomo nell'ombra, Ang Lee per Lussuria, e Stephen Gaghan per Syriana. E dopo le tre nomination quasi di fila per The Queen, Il curioso caso di Benjamin Button e Fantastic Mr. Fox lo scorso anno, potrebbe pure essere la volta buona.

Miglior montaggio: Attento, veloce, splendidamente ritmato, inquadrature alternate in modo intelligente, invisibile ma con una certa presenza sotterranea. Tariq Anwar ha fatto un ottimo lavoro, da oscar? Dipende dagli altri...

Migliori costumi: Qui vale il discorso fatto lassù, per il sonoro. Non c'è niente che non vada in questi costumi, sono precisi e impeccabili, ma siamo anche dalle parti dell'ordinario. In più i personaggi sono pochi... e in giro per Hollywood sono state affrontate ben altre patate bollenti.

Migliori scenografie: Idem.

Miglior direzione della fotografia: Danny Cohen si è fatto le ossa in televisione, su varie serie TV inglesi. Il lavoro che compie qui è esemplare, colori caldi nelle scene positive, freddi in quelle più drammatiche, senza mai far pensare allo spettatore "toh, pazzesco...". Insomma una cosa discreta, e prima di tutto si è curato di donare agli occhi dello spettatore un'immagine sempre piacevole e interessante da guardare. Sopra la media, di gran lunga, ma non basta.

Miglior sceneggiatura originale: C'è la forte probabilità che David Seidler compia un balzo e si accaparri la statuetta. Anche lui arriva dalla TV ma ha già una penna prontissima, affilata e indomita. Qui ha preso una storia vera, già interessante e pronta da filmare di per sé, e l'ha sceneggiata scomponendola in ampie macrosequenze inframezzate per lo più da grandi salti temporali. Ha posto al centro due personaggi, li ha caratterizzati sagacemente, ha donato loro due famiglie con le quali far roteare a 360° le rispettive personalità, li ha creati diffidenti, li ha fatti diventare amici, poi nemici, poi inseparabili ma conflittuali, e infine ha dato loro il trionfo. Quasi una love story. Sopra ogni cosa spiccano i dialoghi pungenti e divertenti, tipicamente all'inglese, che fanno sempre piacere al pubblico. Quello che invece non si vede ma c'è, è un pizzico di retorica, di ruffianeria. Questa è una storia che già di per sé ha fra le righe molte metafore e molti spunti di riflessione, tutti comprendiamo che non è in ballo solo un tizio che balbetta, ma il ruolo di guida di un paese. È un film politico, mica cazzi. E appunto per questo, al pubblico serviva che la realtà fosse romanzata e portata al romanticismo, che le cose fossero più semplici possibile e le azioni più eroiche. Servivano dei cattivi (anche solo accennati) per far vincere gli eroi, per farne qualcosa più di un My Fair Lady (nessuno ci ha fatto caso? la scena delle biglie in bocca secondo me è una citazione...) moderno. Proprio per questi motivi, o se vogliamo chiamarli demeriti... è da oscar.
Tu as compris?

Miglior attrice non protagonista: Helena Bonham Carter cresce a dismisura film dopo film, mentre suo marito (quello reale intendo) boccheggia. Qui spintona i due mattacchioni e si prende le sue belle scene, fa la moglie senza stare dietro le quinte e sospirare per le tribolazioni dell'eroe, è forte, brava e all'altezza. Peccato che per lungo tempo rimanga fuori dal quadro. Quest'anno la vedo dura, ma il prossimo, con il ruolo giusto, potrebbe vincere qualcosa. Ci piace.

Miglior attore non protagonista: Fa ridere vedere Jeremy Renner candidato per The Town di fianco a costui. L'avete visto The Town? Io sì. Vale circa un minuto del Geoffrey Rush di questo film. Non perché Renner non sia bravo o promettente, ma perché qui siamo su livelli di classe superiore. Ricorda un sacco Rex Harrison nel succitato My Fair Lady per l'anticonformismo e l'indole schietta, ma è un personaggio molto più posato e reale. Inoltre è stato scritto (benissimo) per entrare nel cuore degli spettatori. Fra un paio d'anni, parlando di questo film, tutti si ricorderanno di lui, che intanto avrà sul camino la seconda statuetta, dopo quella per Shine nel '97.
Miglior attore protagonista: Colin Firth per la sua interpretazione ha già vinto un Golden Globe ed è lanciato verso l'Academy Award, che l'anno scorso gli era sfuggito per A Single Man, grazie al quale però si era portato a casa la Coppa Volpi. Quest'anno nemmeno il fantasma di Giorgio VI in carne ed ectoplasma glielo può strappare di mano.

Miglior regia: Indovinate da dove arriva Tom Hooper? Esatto dalla TV. Forse che il fare della buona televisione, con telefilm originali e miniserie intelligenti, invece di reality show a manetta, e Mistero con Raz Degan, serva a far nascere nuovi talenti? Mah...
Intanto questo è il suo terzo film, dopo Red Dust e Il Maledetto United, ques'ultimo scritto da Peter Morgan (Hereafter ricordate?) e nato da un progetto di Stephen Frears (ancora lui!!!) che alla fine abdicò in favore del giovane Tom, a cui andò bene, in quanto anch'esso era una sorta di ritratto di un personaggio realmente esistito, in crisi, in una determinata epoca di difficoltà. Le prove generali insomma. Non solo di un film però, ma di una lunga carriera. Il modo in cui Hooper dinamizza e vivacizza una sceneggiatura che nel DNA è profondamente teatrale è davvero esemplare. La sua regia c'è e si sente vede, nella scelta assai personale delle inquadrature, nell'uso di soluzioni originali e sempre varie, nella creazione di un SUO film seppure senza virtuosismi funambolici o scelte postmoderne. Solidissmo, espressivo, intenso. In una parola, anzi due: Clint Eastwood.

Miglior film: Una roba che costa 15 milioni di dollari e parla di un tizio che balbetta, e riesce ad essere così intenso ed emozionante può fare di tutto. È pieno di letture che si possono fare: c'è il personaggio che sogna d'interpretare Shakespeare, il Riccardo III, che ambisce al trono e a qualcosa di grande, mentre l'altro personaggio sta vivendo una situazione simile, con tutti i tradimenti e gli intrighi di palazzo. C'è la propria realizzazione, indipendentemente dal proprio ceto sociale, l'amicizia, la paura delle proprie responsabilità, la difficoltà del rapporto famigliare. La lotta, uniti, contro il male che insorge nel futuro, la lotta, insieme, contro ciò che si annida nel passato.
Ci sono davvero un sacco di cose nel discorso del re. O meglio, nel discorso di Hooper.

Un'ultima cosa sul doppiaggio: è ovvio che questo sia un film da guardare in lingua originale, perché altrimenti perde tantissimo. Ma siamo obiettivi, in mancanza di ciò, dovendolo guardare per forza doppiato, beh, questa è la migliore delle versioni possibili. Luca Biagini, che ultimamente è ovunque, è bravissimo a fare Firth che fa Giorgio VI, e Francesco Vairano oltre alla grande performance del logopedista, ha compiuto un gran bel lavoro di direzione del doppiaggio, come suo solito. Grazie per l'impegno ragazzuoli.

Infine qui, trovate il vero discorso di Re Giorgio VI alla radio. God Save the King!

Nessun commento:

Posta un commento