sabato 19 febbraio 2011

Il Grinta

Il Grinta è molto meno "figo" di quanto si possa immaginare. Non che i Coen abbiano mai fatto film da teen-ager sovraeccitati, come quelli di Guy Ritchie, ma Non è un paese per vecchi si era lasciato dietro una strana reputazione. Per la sua violenza e morbosità aveva galvanizzato tutta una serie di individui particolarmente affascinati da tali elementi, gli stessi che in Arancia Meccanica vedono un inno alla condotta violenta, e nell'immaginario collettivo (=ignoranza) erano diventati una sorta di Quentin Tarantino. Come se l'amara dimostrazione di quanto sia disumano il male fosse la stessa leggerezza con la quale in Pulp Fiction si seminano morti. Ad ogni modo quella noir era sicuramente una delle componenti, anche se solo la più superficiale, poiché in realtà quel film trascendeva il genere, la situazione e la storia narrata, per parlare in modo profondo di qualcosa di assoluto. Il fatto che vinse l'oscar fu un'anomalia, un caso unico in cui una pellicola del genere viene capita. Forse proprio solo per le pallottole, e comunque non da tutti.
Questo per dire che i Coen non fanno film "fighi".
Charles Portis
Il signore qui accanto è Charles Portis, e nel 1968 ha scritto True Gritquel libro che si vede lassù, e che in America è un vero classico. Parla di una ragazzina, Mattie Ross, il cui padre viene ucciso da un ubriacone che lavorava per lui. Vogliosa di vendetta assume lo sceriffo guercio e ubriacone Rooster Cogburn, ma nell'affare subentra anche il texas ranger LaBoeuf. Insieme i tre si mettono in viaggio attraverso il selvaggio territorio indiano. Questa storia ha ispirato il famoso film del 1969 con John Wayne, il seguito del 1975, e un film per la televisione del 1978. Ma in tutte queste trasposizioni la figura centrale era quella di Cogburn, mentre nel libro era la giovane Mattie. Così è anche in questo adattamento del 2010.
Questo per dire che i Coen non hanno fatto un remake, a loro interessava il libro.
Detto ciò, quando gli ingredienti sono: il genere western, una trama di vendetta, Jeff Bridges che torna a fare lo sbandato per loro, e Josh Brolin che fa il criminale, le aspettative volano alte e si colorano di nero e rosso, come la notte e il sangue. E invece, dopo averci sorpreso con due robe strane e sperimentali come Burn After Reading  e A Serious Man (ne parleremo, uff se ne parleremo...), i Coen hanno realizzato qui qualcosa capace di stupirci ancora, ma in tutt'altro modo.
Dopo il film più personale, quello più impersonale, quello più facile. Non c'è nessuna critica della società, nessun ritratto della natura umana, nessuno sperimentalismo... ci sono solo delle persone, e non vengono nemmeno prese in giro. C'è l'evolversi di un rapporto fra un uomo e una ragazzina che ha perso il padre, un amore paterno che nasce, e seppur nascondendosi dietro l'alcol, cresce, fino alla fine. È vero, l'avventura della giovane Mattie in un mondo ostile e violento, fatto di brutalità e cadaveri, potrebbe benissimo essere un tema coeniano, così come la vendetta. Però qui vengono visualizzati e trattati in modo molto diverso dal solito. Mattie non rimane segnata o interdetta, il suo viaggio non è una riflessione come quello di Marge in Fargo. Non c'è una marcata introspezione dentro di lei o in Cogburn, gli eventi procedono, i giorni passano, come in Sentieri Selvaggi.
Ethan e Joel Coen
La prima briosa parte tutta sulle spalle della bravissima Hailee Steinfeld, sfocia nella seconda dell'indagine con i battibecchi fra Jeff Bridges e Matt Damon, per poi andare verso un finale dal sapore epico e antico. Abbiamo una storia semplice e lineare raccontata in maniera semplice e lineare. Si sente parecchio la mano di Spielberg fra i produttori, ma non come un intruso, bensì come alleato. Appare chiaro infatti, che l'obiettivo dei Coen stavolta era andare proprio in questa direzione. Essendo loro capaci soltanto di partorire le loro ossessioni, hanno preso una storia classica, del genere americano per eccellenza, e ne hanno fatto un atto d'amore verso quei vecchi film di John Ford e Anthony Mann, pieni di sentimenti e di respiro grandioso.
Roger Deakins
Nella veriegata filmografia dei fratelli di Minneapolis, ricorrono temi e passioni che si alternano e si ripropongono sempre in una nuova chiave. Blood Simple rivive in Fargo e in Non è un paese per vecchi, come il folle Arizona Junior ritorna ne Il Grande LebowskiBarton Fink è L'uomo che non c'era, ma anche A serious man. E i gangster classici di Crocevia della morte sono l'emblema del genere, come Mister Hoola Hoop rivisita la commedia di Frank Caprae così come Il Grinta omaggia la tradizione. Si tratta di un omaggio però, in cui non tutto della personalità dei Coen si mimetizza, o si azzera, come la regia. Infatti sono tutte loro l'ironia tagliente e l'umorismo a palate, il gusto per le situazioni surreali, la drammaticità mai ostentata e anzi rifuggita. La violenza è in qualche misura abbondante, ma comunque sempre pietosa, agghiacciante, specialmente se messa di fronte agli occhi di una bambina così fortemente religiosa. Permane la loro capacità di introdurre all'opera mediante un meraviglioso incipit, caratterizzato dal tipico monologo. L'antieroe dissoluto come protagonista, l'uomo avvolto dalla pelliccia d'orso, il bandito che fa i versi degli animali, la vecchia della pensione che russa in modo assordante, sono tutti segnali che questo è un loro film. Per tutto il resto Il Grinta, persino nello stile dei titoli, torna indietro nel tempo a prima della rivoluzione di Sergio Leone, per inserirsi nel filone smaccatamente americano del western. Basta vedere il finale, con quell'immagine perfetta che sfuma lentamente, quanto di più lontano dai loro canoni.
Carter Burwell
Per realizzare ciò è risultata indispensabile la parte tecnica, come sempre ineccepibile, dato che si circondano solo dei migliori. La fotografia di Roger Deakins appare ancora una volta inedita, la bellezza dei paesaggi è una componente fondamentale del film, e qui siamo dalle parti del suo lavoro per L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, con in più dei nuovi effetti, quasi di magia. In alcune situazioni sembra di tornare all'atmosfera fiabesca e natalizia vista nell'incipit yddish di A serious man. Nelle scene notturne la luce della luna carezza i volti con una delicatezza toccante, nei luoghi innevati il bianco inghiotte i piccoli corpi sperduti, e nella prateria i cavalieri avanzano sotto lo sguardo del tramonto. Se gli occhi rimangono incantati la sua mano fa il 50% dell'effetto. E mi verrebbe da dire che la musica di Carter Burwell faccia il restante 50. Lavora con i Coen fin dagli indipendenti inizi, adattandosi ogni volta alle loro richieste con una versatilità eccezionale. Ha saputo essere misterioso per Barton Fink, popolare e irlandese per Crocevia della morte, opprimente per Burn after reading, invisibile per Non è un paese per vecchi, e in questo film ha finalmente potuto essere grandioso. La partitura de Il Grinta arriva direttamente dalla Hollywood degli anni '40 e '50, o meglio dagli aggiornamenti del maestro John Williams. Fra lente dissolvenze, concitate sparatorie, e cavalcate contro il tempo, i suoi temi riempiono le orecchie più delle parole.
Se la superiorità della storia era schiacciante in opere come L'uomo che non c'era, Il grande Lebowski o Fratello dove sei? facendone dei film d'autore, in questo grande affresco americano è risultato preponderante il lavoro collettivo tipico del cinema Hollywoodiano. Non stupisce la pioggia di candidature all'oscar per i Coen, i cui primi film erano talmente europei da passare quasi inosservati in patria. Con gli anni sono diventati più fermi e solidi, più maturi. Ormai sono un'istituzione e un'importantissima realtà del cinema statunitense e mondiale. Ormai il loro nome è scolpito nella roccia. Il Grinta è il grande cinema per tutti (al massimo bollino giallo) fatto al loro modo, impeccabile, intelligente, divertente, e soprattutto emozionante. E per una volta non è una tragedia che manchi l'originalità.
Nella scena finale, la scrittura di Portis, le immagini di Deakins, la musica di Burwell, il montaggio dei Coen, e lo sguardo di Jeff Bridges concorrono a regalare uno dei pezzi di cinema più intensi degli ultimi anni, che apre il cuore e porta tutto via con sé. Un salto nella tenebra che non si dimentica, con coraggio, e grinta.


Non è un paese per vecchi è un film complesso divenuto un classico. Il Grinta è un classico, che lo diventi o meno.


Rettifico quello che dissi qui (dove tra l'altro trovate il trailer). Come doppiatore di Jeff Bridges alla fine non è stato scelto Massimo Corvo, ma Rodolfo Bianchi. Eccezzzziunale veramente.

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