sabato 11 dicembre 2010

L'esplosivo piano di Bazil: recensione in anteprima nazionale, mondiale, universale, cosmica

Il padre di Bazil muore a causa di una mina antiuomo in Marocco, sua madre impazzisce, lui finisce in collegio, e una volta adulto diventa commesso di un videonoleggio. Una sera il proiettile vagante di un rapinatore penetra nella sua testa, e non potendo essere rimosso, lo lascia in un perenne stato d'incertezza ed equilibrio fra la vita e la morte. Perde casa e lavoro e finisce a fare l'artista di strada, ma ben presto entra a far parte di una comunità di strani ed eccentrici emarginati della società (una sorta di sette nani raccolti attorno ad una improbabile biancaneve), che vivono in una discarica. Un giorno, dopo aver trovato per caso le sedi -dirimpettaie- delle aziende che hanno prodotto le armi che hanno rovinato la sua vita, decide di dar loro una lezione, e con l'aiuto dei suoi nuovi amici architetta un macchinoso piano di vendetta, del tutto particolare.

In questo momento, se c'è un cinema che merita di essere seguito, è sicuramente quello francese. In Europa non ha rivali, in Asia stanno crescendo ma gli manca qualcosa, e in America i grandi autori provano a controbilanciare tutta la spazzatura che produce Hollywood, dalla loro hanno ancora i grandi capitali, ma recentemente anche i produttori francesi sono stati in grado di foraggiare investimenti importanti. In Francia c'è un'industria completa sul piano del dramma, della commedia, del film d'azione, di quello d'arte, dell'animazione. Opere originali e solidissime, autori in forma smagliante, ed un capolavoro dietro l'altro: Il Profeta, Uomini di Dio, Il ConcertoL'illusionista... e ora questo Micmacs à Tire-larigot (da noi L'esplosivo piano di Bazil).
Dimenticate le Cronache di Narnia, le vacanze in Sudafrica o da qualche altra parte con Belen, o le disavventure di Babbo Natale contro James Bond... questo è un film di Natale senza un vecchio ciccione e le sue renne, senza veline e un ridondante buonismo, ambientato nel mondo reale, per farci estasiare e riflettere. Non c'è la neve, non ci sono i regali... ma c'è pura magia.
Jean-Pierre Jeunet è una persona davvero straordinaria, dotata dell'umorismo e della semplicità tipica dei grandi. Colto e intelligente, è un autore che ha la totale padronanza del mezzo, con il quale riesce ad esprimersi in modo completo, e a comunicare con lo spettatore in maniera unica e confidenziale. Avendo avuto il piacere di sentirlo parlare, ho potuto accorgermi del garbo e dell'umiltà con i quali si rapporta al suo pubblico, e la sincera passione che brilla nelle sue parole quando descrive l'immaginario che anima le sue opere.
Quest'ultima, nata dalla frustrazione seguita all'aborto di un progetto che aveva richiesto due anni di lavoro e notevole impegno, è quella in cui ha voluto inserire, parole sue "tutte le cose che mi stanno a cuore". E difatti ci sono tutte le sue ossessioni: l'infanzia rovinata (e quindi l'elogio di chi rimane bambino), le caratterizzazioni strampalate, i personaggi rozzi ma dall'animo altruista, l'incertezza dei casi del destino, la vendetta vista come un gioco macchinoso, la ribellione del bene contro il male (grottesco e psichicamente deviato), e l'attenzione alle piccole cose di tutti i giorni, le curiosità personali e inconfessabili che vagano nei pensieri di ognuno di noi nel rapportarci con poesia alla vita che conosciamo. Ma pur senza abbandonare la componente ingenua e fiabesca dei suoi film, appaiono subito chiare, sin dal raggelante incipit, anche l'energia, l'inventiva, e l'intenzione di dipingere la sua pellicola con uno sguardo più ampio e maturo.
Sebbene anche questa sia la storia di un favoloso mondo, non più di Amélie, bensì di Bazil, i torti contro i quali lui combatte sono più gravi, e questo piccolo mondo è più sporco e infelice. La trattazione non si ferma al ritratto romantico di una ragazza che colora il mondo con i suoi sogni, e alla varietà di persone e caratteri che la circondano, perché la lotta a cui assistiamo è maggiormente ardua, ci spostiamo in territori sociali, umanitari, politici. Si parla a tutti gli effetti della guerra, non come un mostro spaventoso, ma come un virus stupido, e la cura sta già tutta nell'ironia, come fece Kubrick con Il dottor Stranamore...
È infatti un film che riesce ad essere divertente anche nei momenti più seri, con un'invenzione per ogni scena, usando ogni mezzo proprio del cinema, giocando con esso. Nella parte di Bazil senzatetto troviamo irresistibili elementi da epoca del muto figli di Chaplin, o della tradizione più recente di Tati. Jeunet non nega mai il suo amore per i vecchi maestri, regalando citazioni e omaggi anche a Fellini e Leone (nella punizione finale dei due guerrafondai).
Si tratta di una fiaba quindi, come Amélie ma più ampia e importante, perfezionata, e avanzata. Non solo nei contenuti ma anche nello stile, con un uso degli effetti speciali e della tecnologia funzionali e calibrati, che non rendono schiavo tutto il resto. Una commistione di tecnologie e linguaggi, con l'uso illusionistico del montaggio e l'introduzione del cartone animato (Jeunet è un grande estimatore del lavoro della Pixar, cosa che lo riconferma acuto osservatore). La sua regia è poi sempre fluida e morbida, sugli oggetti e sulle persone, indagatrice e indiscreta partecipatrice. Stavolta appare persino più visionaria, dotata di nuovi e audaci punti di vista, proprio grazie all'apporto degli effetti visivi.
In alcune parti del film entrano in scena delle locandine che
pubblicizzano il film stesso.
Nel post precedente (dove trovate il trailer) sbagliavo. Bruno Delbonnel ed il suo staff hanno dato una mano e vengono ringraziati nei titoli di coda, ma anche se fosse, non si nota nessuna delle assenze che lamentavo. Raphaël Beau e Tetsuo Nagata prendono perfettamente in mano le redini di musica e fotografia, e specialmente il primo riesce nell'ingrato compito di non far sentire la mancanza di Yann Tiersen. Per fortuna però a fianco di Jeunet è rimasto Guillame Laurent, meraviglioso sceneggiatore e dialoghista con il quale va giustamente diviso il merito e l'elogio. Il cast è composto da vecchie facce del cinema di Jeunet, a partire dall'imprescindibile Dominique Pinon, e brilla come sempre nei suoi film, che hanno l'aspetto di recite in famiglia. Poi, se ha perso una meravigliosa protagonista come Audrey Tautou, ha trovato una memorabile performance corale, di cui Dany Boon è solo il baricentro. Ma qui è talmente prepotente l'impronta vitale che Jeunet ha voluto dare, che persino la forte caratterizzazione dell'attore francese rimane secondaria.
Era da tanto che non vedevo un film del genere, spero che sia il vostro film di Natale, ne uscirete migliori.
È il capolavoro di Jeunet.

È poesia.

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