sabato 6 novembre 2010

L'arte della fuga


"Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si  chiama desiderio."
(Henri Laborit, Elogio della Fuga)


L'arte della fuga è un'opera incompiuta e postuma di Johann Sebastian Bach. Si tratta di un insieme di brani musicali in stile contrappuntistico, la cui composizione inizia intorno al 1740 circa, per protrarsi fino al 1750, anno della sua morte. Dier Kunst der Fuge raggruppa una serie di sperimentazioni sul contrappunto, che contengono alcune delle fughe più complesse ed articolate mai scritte. Una delle vette della musica mondiale di ogni tempo.
L'arte della fuga è anche ciò che contraddistingue lo spirito dei nomadi (non il gruppo musicale, proprio la categoria), ciò che li differenzia dal resto dell'umanità, la loro sola realtà. Il nomadismo è l'arte della fuga all'estremo, che spinge ad abbandonare persino il concetto di casa, per favorire il perenne movimento, in una fetta di esistenza dai confini vaghi e indefiniti. Se passate per piazza San Carlo fermatevi a vedere questa piccola mostra, è gratis.
Ma l'arte della fuga è anche una capacità, un dono che hanno nell'animo soltanto alcune persone. O forse è in realtà una maledizione, perché li rende capaci di sfuggire a qualsiasi cosa, anche la più importante, e rende così facile defilarsi che alla fine quella diviene la strada prediletta, obbligata, di fronte a qualsiasi problema. Colui che fugge lo farà sempre, perché è assai più sicuro allontanarsi dalle cose invece che immergervisi. L'arte della fuga viene intesa come qualità, ma è soltanto vigliaccheria. La si sconfigge dall'interno, costringendosi a restare. Altrimenti la fuga porterà tanto lontani da costringere poi a fermarsi, guardarsi attorno, e scoprire di essere soli. E lì sarà impossibile tornare indietro, perché non si può fuggire da una fuga.
Per lasciare delle impronte più profonde nel nostro cammino, ed evitare che vengano spazzate dal vento, è necessario fermarsi ad un certo punto, o non resterà traccia del nostro passaggio. Come sempre, è una scelta.

2 commenti:

  1. La fuga significa per alcuni non ricevere l'ennesima porta in faccia. Ma la maggior parte delle volte si prova, ci si ferma, si cerca di pensare che sarà la volta buona per mettere radici. Invece non è così, e l'unica consolazione è questa semplice azione, andarsene, e non soffrire per qualche tempo. Fino alla volta successiva.

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  2. Per il signor Gould significò evidentemente fuggire dal fisioterapista, eppure non gli è andata male (no? No, eh? Vabbè...)
    Tutte le cose vanno viste in prospettiva, essendo che questa strada porta lontano, dove non si può vedere, è solo un po' più difficile farlo. Forse dall'alto può anche non sembrare così peggio di altre, chissà.
    Comunque per la fuga spinta dal Desiderio è sempre il momento buono, per quella spinta dalla Disperazione c'è ancora tempo, e molto. Generalmente arriva a centomila anni...

    Dunque, alla fine non so cosa ne sia venuto fuori, ma in linea di massima ero d'accordo.

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